Dall’Archivio dell’Unitre…Prof. Mario Monterosso (old.www.unitrespoleto.it)

Prof. Mario Monterosso Primo Presidente e Socio Fondatore

Prof. Mario Monterosso

Il Prof. Mario Monterosso fu tra i Soci Fondatori (1983) e primo Presidente dell’Associazione.
Nacque a Filogaso (CZ) l’11 agosto 1918 e morì a Spoleto il 17 settembre 1989.
In occasione dell’apertura dell’Anno Accademico 1989/1990 a due mesi dalla morte, l’Unitre di Spoleto volle ricordare il Socio Fondatore e suo Presidente Prof. Mario Monterosso, pubblicando il discorso ufficiale di commemorazione tenuto dal prof. Aulo Laudenzi, direttore dei Corsi dell’Unitre e le orazioni funebri pronunciate dal Sindaco di Spoleto Aldo Mattioli e dall’Onorevole Abdon Alinovi in occasione delle esequie, avvenute a Spoleto, presso la residenza municipale il giorno 18 settembre 1989.

Prof. Aulo Laudenzi
(Direttore dei Corsi dell’Unitre di Spoleto)

La prolusione ai corsi accademici di questo anno 1989/1990 non è, purtroppo, la prolusione di un esimio cattedratico, ma molto modestamente, ma anche molto più tristemente, una commemorazione del nostro Presidente, prof. Mario Monterosso, la cui scomparsa ha lasciato un vuoto difficilmente colmabile nella sua associazione, di cui è stato il Primo e più appassionato socio fondatore e Presidente fin dal momento della sua costituzione. Ho chiesto ed ottenuto di avere io l’onore di ricordarlo, in occasione dell’apertura del nuovo anno accademico perché, data la pluriennale conoscenza ed amicizia che ci legava, data la reciproca collaborazione con cui abbiamo portato avanti più di un’iniziativa socio-culturale nella nostra città, prima fra tutti l’UNITRE, mi sembrava di essere (e mi si scusi l’immodestia) uno dei più qualificati per questo dolorosissimo compito.

Conobbi Mario Monterosso fra i primi a Spoleto perché, giunto nella nostra città, giovanissimo neo-laureato, per ricoprire l’incarico di docente di storia e filosofia presso il liceo classico, lo ebbi per un anno mio professore. Ed è naturale che, in occasioni come queste, le prime cose che si affacciano alla mente, siano i ricordi del passato. Ricordi netti, dai contenuti precisi, ricordi vivi, anzi tanto più vivi, quanto si allontanano dal tempo. Due di questi sono particolarmente vivi di quell’anno scolastico 1940/41, in cui Monterosso fu mio Docente. Il primo incontro con il giovanissimo professore che, di pochi anni più grande di noi alunni di terza liceale, seppe procacciarsi subito le nostre simpatie, il nostro affetto, il nostro doveroso rispetto. E chi sa se la mia passione per gli studi storici non sia derivata, almeno in parte, anche da quell’anno di suo insegnamento, impartito, lo ricordo bene, con grande preparazione culturale e con grande passione didattica, doti queste che sopperirono alla mancanza di esperienza, naturale in chi si trovava al suo primo incarico di docente? E di quell’anno scolastico è altrettanto vivo e presente, sia al cuore che alla mente, un altro ricordo: “la gita” a coronamento, dopo il raggiungimento della sospirata maturità, del nostro quinquennale corso di studi. Andammo, tutti noi della terza liceale dell’anno scolastico 1940/41, in gita alle Fonti del Clitunno, in bicicletta, con colazione al sacco, accompagnati naturalmente dal più giovane dei nostri docenti: il prof. Mario Monterosso. La presenza di un docente era assolutamente necessaria perché altrimenti la direttrice del convitto ENPAS femminile non avrebbe permesso la partecipazione delle convittrici, della cui presenza eravamo tutti particolarmente desiderosi, essendo quella, forse, come è accaduto per molte, l’ultima occasione di trascorrere insieme e in libertà, una giornata dopo le tante passate tra i banchi della scuola. E ricordo, con esattezza e precisione, come Monterosso non si fece pregare per partecipare con noi alla “gita”, opponendo una sola difficoltà, da noi subito superata, quella di non avere in quel momento la disponibilità di una bicicletta. E lo ricordo allegro, felice, spensierato di essere, per un momento, al di fuori dell’ufficialità scolastica, con i suoi alunni, ai quali aveva dedicato un anno intero di insegnamento, in un’atmosfera che, senza che venisse meno il “doveroso rispetto per il docente” era, come del resto lo era stato per tutto l’anno scolastico, un’atmosfera di vera amicizia, cosa che a quei tempi era precorritrice di tempi futuri.
Questi sono gli ancor vivi ricordi che io ho del primo incontro con quest’uomo con il quale poi la vita mi riservava di incontrarmi in tante e tante occasioni; nella professione perché poi, divenuti “colleghi” il nostro originario rapporto docente-discente, fatto a quel tempo anche di un certo “timor reverentialis” nei confronti del docente, si trasformò in un rapporto di colleganza e, a volte, di collaborazione, ma sempre di amicizia permeata di reciproco rispetto; nella vita politica dove, pur militando in campi diversi, a volte, in quei lontani tempi anche avversi, non ci fu mai uno scontro, ma sempre incontri in cui confrontavamo, in pieno rispetto reciproco, le nostre posizioni. E questo perché Monterosso ebbe sempre vivo in sé il senso della democrazia tout-court, della democrazia senza aggettivi che lo portava, sempre e dovunque, a fare uno sforzo di comprensione culturale e politica delle posizioni altrui, anche quando queste si manifestavano lontanissime dalle sue. Ed in questo mi fu “maestro”, come lo era stato in quella terza liceale da cui ho preso le mosse per questa rievocazione di Mario Monterosso.
Divenuto dirigente scolastico, ho avuto sempre un desiderio, trasformatosi con il passare degli anni, in rimpianto: quello di non aver mai avuto “alle mie dipendenze”, come si dice da orrenda etimologia burocratica, il prof. Mario Monterosso, approdato per le vicende della sua carriera ed altre scuole e per un periodo di tempo ad altra città. Brutta dizione burocratica, dicevo, perché un docente, quando possiede una grossa preparazione culturale, e Monterosso l’aveva da vendere, una grande capacità didattica ed io che, sebbene in anni lontani ed all’inizio del suo magistero l’avevo avuto come docente, sapevo che Monterosso era “maestro” nella più alta accezione del termine e che tale capacità non poteva essersi che affinata con il passare del tempo e delle esperienze; una profonda capacità di introspezione psicologica per conoscere i propri alunni e calibrare la propria azione educativa in relazione alle capacità dei discenti, e Monterosso l’aveva; quando in una parola il docente possiede una spiccata personalità umana e professionale, e Monterosso l’aveva, non è dipendente che di se stesso, della propria coscienza, del proprio senso del dovere. Per questo mi sono sempre rammaricato, fin dal giorno del suo collocamento a riposo, di non averlo avuto mai né come collega, né come preside, membro del suo stesso collegio dei docenti, di cui anche io facevo parte.
Ma dovendo commemorare Monterosso ai soci dell’UNITRE, quello che occorre innanzitutto ricordare è la sua opera a favore della nostra associazione.
Alle scuole per esempio a cui ha profuso i tesori del suo insegnamento, il compito di ricordare l’opera di docente; ad altri per esempio al Comune e alla Regione, poiché fu Consigliere Comunale e Sindaco di Spoleto e successivamente Consigliere e Assessore regionale, il compito di ricordarne l’opera di amministratore e uomo politico; a noi l’onore e il compito di ricordarne l’opera di fondatore e presidente dell’Unitre.
Fu proprio lui, infatti, al momento in cui questa associazione di volontariato cominciava a diffondersi in varie città d’Italia, a prendere l’iniziativa, in principio quasi a titolo personale, di convocare un gruppo di persone, esponenti della politica, della cultura, nella vita amministrativa di Spoleto, fra i quali ebbe la bontà di annoverarmi, cosa di cui ancor oggi lo ringrazio perché mi ha permesso di essere fra i soci fondatori dell’Unitre, per procedere alla costituzione dell’associazione, alla redazione del suo statuto, per dare inizio al più presto alle attività socio-culturali. E naturalmente, non avrebbe potuto essere diversamente, fu subito eletto per acclamazione alla Presidenza. Ed è stata questa dell’Unitre, unitamente all’altra associazione di cui, con il compianto Antonio Busetti fu anche fondatore, la Pro-Spoleto, l’attività che ha riempito gli ultimi anni della sua vita: collocato a riposo come docente, estraniatosi un po’ dalla vita politica ed amministrativa della città, ha dedicato tutte le sue risorse intellettuali e culturali, indubbiamente notevoli, la sua capacità organizzativa, anch’essa rilevante, la sua passione di uomo di ampia e profonda cultura, a queste due associazioni.
Forse le dedicava un fiore all’occhiello della sua molteplice attività, perché figlie di quel senso della socialità che era in lui altrettanto vivo quanto il senso della democrazia che ho già ricordato: la democrazia era per lui lo strumento attraverso il quale si dovesse raggiungere il più alto livello di socializzazione, perché solo così era possibile migliorare per tutti la qualità della vita.
Lo ricordo ancora, durante le mie e le altrui lezioni, seduto in prima fila a sinistra di chi parla, accanto al muro; gli si leggeva in volto l’immensa, intima soddisfazione, quando aveva la sensazione precisa che una lezione, un corso, un argomento di dibattito incontravano l’interesse dell’uditorio, con l’unica preoccupazione di poter offrire sempre il meglio di quanto si potesse offrire; lo ricordo ancora, ansioso di poter contattare, al più presto possibile, questo o quel docente universitario, per potersi assicurare il contributo di un nome di prestigio, tale da poter garantire il successo di una lezione, di un corso, di un argomento di dibattito e, si può ben dire, non si dava pace finché, in qualche modo, non aveva raggiunto il proprio obiettivo.
L’ultima sua presenza in pubblico, nella veste ufficiale di Presidente, fu la cerimonia di presentazione del libro dei proff. Santi Ubaldo e Fortunato Elio su “Spoleto nell’età rivoluzionaria e napoleonica”una delle tante iniziative realizzate durante la sua presidenza per volere soprattutto suo e con la collaborazione di noi tutti. Per tale cerimonia mi fece l’onore, e lo ricordo con orgoglio, di chiedermi di pronunciare il discorso ufficiale. Ed è stampato nella mia memoria il ricordo di un Monterosso, solitamente vivace ed instancabile nello svolgimento di qualsiasi attività, paurosamente affaticato nel pronunciare, come era suo dovere, al quale non sarebbe mai venuto meno, poche parole di presentazione della manifestazione che ottenne, grazie a lui, un lusinghiero successo per la partecipazione di un numeroso pubblico e con la presenza, da lui voluta ed ottenuta, dell’addetto culturale dell’ambasciata francese di Roma.
E fino al termine la sua preoccupazione costante, abbandonata la presidenza della pro-Spoleto, più impegnativa e quindi più affaticante per le sue ormai precarie condizioni di salute, è stata l’Unitre. Ha avuto la forza e il grande coraggio morale di dettare quasi alla sua Vice-presidente, sig.ra Guglielma Pacifici, le sue istruzioni per l’organizzazione dei corsi di quest’anno e, quasi consapevole che le forze lo stavano abbandonando, i suoi consigli per la sua successione alla Direzione dell’Associazione.
Ma oggi, dopo la sua dipartita, in un certo senso improvvisa perché, se si conoscevano le sue condizioni di salute e si poteva prevedere un lento, anche se inesorabile declino, non era certo prevedibile una così rapida scomparsa, dopo pochissimi giorni di degenza in ospedale, rimane in tutti noi l’angoscia di una perdita irreparabile, il senso di un vuoto incolmabile.
E’ con profonda e sincera commozione che rivelo a voi e rievoco nel mio animo i momenti più intensi del nostro ultimo incontro in ospedale, scolpiti ormai a caratteri indelebili nella mia coscienza. Saputo, dalla nostra Guglielma, del suo ricovero in ospedale, mi recai subito il giorno dopo a fargli visita, che reputavo doverosa per me e di conforto e di aiuto fisico e morale per lui. Lo trovai, quasi rannicchiato nel suo lettino di ospedale, e provai subito una fitta dolorosa. Dopo i primi saluti cominciò subito a parlare dell’Unitre: volle, a tutti i costi, riferirmi sui colloqui avuti con la Vice-presidente; mi fu prodigo di istruzioni e consigli per l’organizzazione dei corsi del prossimo anno accademico. Ma ormai le forze lo stavano abbandonando. Il respiro era affannoso; le parole uscivano a stento dalla sua bocca ma lui, incurante delle mie raccomandazioni di tacere, di riposare il suo organismo, continuava imperterrito a parlare; sembrava quasi che fosse internamente consapevole che quello era, purtroppo, il nostro ultimo colloquio e quindi, per lui, l’ultima occasione di dare, come era stato suo costume per tutta la vita, il suo contributo a qualche cosa, qualunque fosse, nell’interesse della collettività. Era tale la sua volontà di dire che, per non affaticarlo inutilmente, lungi da me l’idea che quello fosse l’ultimo colloquio, abbreviai la mia visita, consapevole, questo sì, che non avrebbe affatto ascoltato i miei inviti a tacere, ma avrebbe continuato in uno sforzo che non poteva non aggravare in quel momento le sue condizioni di salute. E forse feci male perché, quello che per lui costituiva uno sforzo di affaticamento fisico, era però al tempo stesso un conforto spirituale perché lui il bisogno di operare nell’interesse degli altri, di lavorare nel sociale, era più forte di qualsiasi altro sentimento, più forte del suo stesso attaccamento alla vita: perché per lui vivere significava lavorare e lavorare non per se stesso ma per gli altri.
Ed infatti, pur essendo stato, da quel lontano 1940 da cui sono partiti i miei ricordi e la mia rievocazione, un protagonista della vita politica, amministrativa, sociale e culturale di Spoleto, non fu mai ammalato di protagonismo, avendo sempre adottato in Comune, in Regione nelle varie associazioni di cui fece parte e di cui ebbe la direzione, un atteggiamento che schivava gli onori personali, per assumersi in prima persona tutti gli oneri.
Se, anziché nel secolo XX, fossimo nel lontano medioevo, quando, per chiunque si distinguesse in qualsiasi campo dell’attività umana, si creava uno stemma con un’insegna araldica ed un motto, non avrei avuto esitazione ad attribuirgli il seguente: ONERI e non ONORI.
Questo fu Monterosso per noi soci dell’UNITRE, per l’intera cittadinanza spoletina: un uomo che, ad una spiccata personalità politica e culturale, seppe sempre unire una passione civica così rilevante da farlo divenire protagonista di primo piano della vita cittadina.
Di lui resta il ricordo imperituro di quanto ci ha lasciato: il ricordo di un’amministrazione civica contrassegnata dalla massima onestà politica e dalla massima correttezza amministrativa; ci restano soprattutto due grandi istituzioni: la Pro-Spoleto, intesa sempre da lui non, come forse qualcuno avrebbe voluto, come contraltare dell’Azienda di Promozione turistica, ma associazione di cittadini, assidua collaboratrice delle istituzioni tutte per il migliore avvenire e sviluppo di Spoleto e l’UNITRE, associazione di volontariato, finalizzata al duplice scopo della socializzazione e della diffusione della cultura ad ogni livello di età e condizione sociale.
Il successo di queste due ultime istituzioni, la loro attività ininterrotta sotto la sua spinta propulsiva, stanno a dimostrare la validità e la bontà delle sue iniziative.
Ma di Monterosso ci resta anche il rimpianto di non averlo più fra noi a consigliarci, spronarci a fare sempre di più e sempre di meglio nell’interesse della collettività tutta.
Credo che il miglior modo di commemorarlo e di onorare la memoria sia, per noi soci dell’UNITRE e cittadini di Spoleto, quello di prendere impegno, impegno al quale nessuno di noi può sottrarsi, di continuare la sua opera e proseguirla con lo stesso impegno e con la stessa passione che lui aveva messo nel darle vita e nel dirigerla in questi suoi primi sette anni di esistenza.

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