Guido e Lamberto di Spoleto imperatori

Lezione di Adolfo Nobili

Febbraio dell’897. Siamo a Roma, nell’antico palazzo lateranense,  quello fondato da Costantino; vi si sta svolgendo un sinodo perché sono presenti tutti i vescovi del centro Italia; ma è un sinodo un po’ particolare perché in effetti si tratta di un processo e , pensate un po’, il processo ad un papa,  papa Formoso,  che però è morto l’anno precedente.

Eppure l’imputato, papa Formoso, è presente o, meglio, è presente il suo cadavere, riesumato,  rivestito dei paramenti sacri e messo sul trono papale.

Ma perché questo processo? Dagli  atti ufficiali  sembrerebbe che sia per una irregolarità nella sua elezione: essendo già vescovo di Porto non poteva diventare anche vescovo di Roma.

In realtà quella macabra messa in scena era l’atto di vendetta di Ageltrude di Benevento, vedova dell’imperatore Guido II e madre dell’imperatore regnante Lamberto II, nei confronti di chi le si era mostrato ostile.

Papa Formoso aveva, si, unto e consacrato imperatori Guido e Lamberto ma, poi, timoroso dello strapotere di quei vicini regnanti  spoletini, si era rivolto per aiuto ad un re carolingio, Arnolfo di Carinzia, che, sceso in Italia nell’896, aveva costretto alla fuga da Roma Lamberto e sua madre ed era stato incoronato imperatore dal papa.

Ma, nello stesso anno Arnolfo era dovuto tornare in Germania malato e paralizzato: la colpa dei suoi mali fu subito data ad Ageltrude che lo avrebbe fatto avvelenare.

E, sempre nell’896, muore pure  papa Formoso e anche in questo caso si parla di veleno: indovinate chi era, per il popolo e per i cronisti dell’epoca, il mandante dell’avvelenamento; ma,  ovviamente,  Ageltrude, la vera detentrice del potere imperiale, madre-padrona del giovane e inesperto Lamberto, che dopo il ritiro di Arnolfo di Carinzia, aveva ripreso il ruolo di imperatore.

Ma a questa donna terribile, di sangue longobardo e della stirpe dei duchi di Benevento, che ha pure imposto  l’elezione del successore di Formoso, Stefano VI, questa vittoria politica non basta: vuole una vendetta che sia chiara manifestazione del suo potere.

E con la collaborazione di papa Stefano organizza il processo al cadavere di papa Formoso: è inutile dire che questo viene condannato, spogliato dei paramenti sacri e,  dopo che gli sono state mozzate le tre dita della mano destra, quelle con cui dava la benedizione, viene gettato nel Tevere.

Questo, riportato con orrore dalle cronache del tempo, è soltanto  il più noto dei misfatti di una stirpe entrata nella storia, trascinandosi dietro il nome di Spoleto, una stirpe nota per la sua mancanza di scrupoli, per il carattere violento e avventuroso, per gli inganni e le ribellioni nei confronti dell’impero, la stirpe dei Widoni, duchi di Spoleto dall’842 all’898.

La storia di questa dinastia ducale è dispersa in antiche cronache ed epistolari pontifici, appartiene ai secoli bui del Medioevo e di solito tutto quello che si narra di   essa si riassume nel solo nome di due grandi signori di origine franca inseriti nella serie storica degli imperatori del Sacro Romano Impero, Guido e Lamberto.

Vediamo di saperne qualcosa in più.

Partiamo dalle origini di questa famiglia, che gli storici chiamano dei Widoni o Lambertingi, e da come gli antenati di Guido e Lamberto siano arrivati  a Spoleto.

Dopo il 771 Carlo Magno rimasto solo a governare il Regno dei Grandi Franchi per la morte del fratello Carlomanno, si trovò, tra i tanti problemi del Regno, a dover reprimere i comportamenti ribelli degli abitanti della Bretagna, invasa da popolazioni celtiche provenienti da quell’isola che poi si chiamerà appunto Gran Bretagna.

Come suo solito, inviò in quella parte della Francia un suo delegato, nominato governatore della regione, che scelse tra i suoi guerrieri più fidati, prima il conte palatino Hruodlandus, in italiano Orlando (cioè  il protagonista della Chanson de Rolan o dell’Orlando furioso etc.) e, morto questo a Roncisvalle, un altro suo compagno d’armi, di nome Wido (poi in Italia questo nome divenne un più pronunciabile Guido), appartenente ad una nobile e ricca famiglia della zona della Saar, tra il Reno e la Mosella.

Questi fissò la sua residenza a Nantes e dette origine alla stirpe dei Conti di Nantes, cioè dei Widoni.

L’unico figlio di Carlo Magno sopravvissuto al padre, Ludovico il Pio, dopo essergli succeduto, desiderando mantenere l’unità dell’Impero, nell’817 promulgò e impose fermamente l’indivisibilità dello stesso.

Dobbiamo però tener presente che le tradizioni dei Franchi, riassunte nelle Leggi saliche, concepivano lo Stato come proprietà patrimoniale del Re e quindi prevedevano la divisione del Regno tra tutti i figli “legittimi” dello stesso.

Per essere certo che il suo volere fosse rispettato alla sua morte Ludovico il Pio fece giurare ai tre figli che allora aveva (poi ne nascerà un quarto da un secondo matrimonio) che avrebbero rispettato il principio del’indissolubilità dell’Impero e, in pari tempo, elevò alla dignità imperiale il maggiore di essi, Lotario.

Ludovico il Pio morì nell’840, ma già dall’823 si erano create le prime crepe nell’edificio dell’Impero perché la seconda moglie di Ludovico, Giuditta, si proponeva  di assicurare al figlio Carlo (che sarà poi l’imperatore Carlo il Calvo), appena nato, la maggior parte possibile dell’eredità paterna.

In seno alla dinastia si scatenò una lotta tra partigiani di Lotario e quelli di Giuditta, lotta che coinvolse tutti gli aristocratici, i Grandi del Regno, già scontenti della decisione unitaristica dell’imperatore che andava contro le loro pretese di autonomia e pronti a prendere le parti di uno o dell’altro pretendente, a seconda delle terre e delle ricchezze loro promesse in ricompensa.

Ne seguì una serie di guerre familiari tra i figli di primo letto di Ludovico il Pio e la seconda moglie di lui, Giuditta, che portarono anche all’imprigionamento dello stesso imperatore.

Ma i contrasti tra i tre fratelli maggiori fecero sì che, liberato il padre e schieratosi questo  con la moglie, si arrivò ad una divisione del patrimonio imperiale, cioè dei territori di cui era composto: sorsero così quelli che saranno poi i regni di Francia e di Germania e, in mezzo a questi, l’Impero comprendente anche l’Italia centro-settentrionale.

Lotario e i fautori dell’indivisibilità dell’impero tentarono di imporsi nell’834 a Ludovico e agli altri due fratelli ma furono sconfitti e si dovettero rifugiare in Italia, di cui Lotario era Re.

Con lui venne in Italia un suo fedele seguace, Lamberto di Nantes, figlio di quel Guido nominato da Carlo Magno conte, cioè governatore, della Bretagna.

Gli erano compagni altri due conti, Ugo di Tours e Matfrido di Orleans: ma i tre presero a battagliare fra loro per chi dovesse essere il primo dopo l’imperatore e trascurarono gli interessi di Lotario, indebolendo la sua posizione nella successione imperiale.

In ogni caso sembra che Lamberto si considerasse solo temporaneamente legato all’Italia e non vedesse l’ora di tornarsene a Nantes, dove morì per un’epidemia di peste nell’837.

Di lui ci è stato tramandato che, se anche in Francia era considerato il più valido dei fautori dell’imperatore Lotario, non aveva mostrato alcuna aspirazione ad una carica o a un nuovo feudo.

Dai cronisti del tempo ci giunge notizia del suo matrimonio con Adelaide di Lombardia, figlia di Pipino a sua volta figlio di Carlo Magno e re d’Italia: questo sarebbe l’unico possibile legame dei Widoni con i Carolingi, ma gli storici moderni tendono a negarne la veridicità.

Le ambizioni dei Widoni si sono però manifestate così evidenti che qualcosa di vero ci doveva essere: i due imperatori della loro casata tengono il titolo imperiale tra due altri della stirpe  carolingia e i loro ripetuti viaggi in Francia per competere al trono  mostrano un collegamento con la discendenza di Carlo Magno che non può non presupporre un legame familiare, anche se remoto,  con la dinastia regnante.

Le condizioni fondamentali per aspirare al trono reale o imperiale in quel periodo erano, infatti, l’appartenenza alla stirpe carolingia, l’assenso papale e il consenso dei grandi del regno.

Chiaramente ci voleva anche un buon esercito!

Come vedremo, i Widoni l’assenso papale se lo sapevano procurare con le buone o con le cattive, ma dai grandi di Francia sono stati sempre ostacolati per timore della loro protervia e da quelli di Germania sono stati proprio considerati degli usurpatori da combattere.

Comunque il grosso ducato di Spoleto, messo al centro dell’Italia e vicino a Roma e pertanto importante per difendere o controllare il Papa, interessava troppo l’imperatore Lotario che quindi, dopo la morte di suo padre e la sua salita al trono, nell’842 nominò il figlio di Lamberto di Nantes, Guido, che dapprima era tornato in Francia come il padre ed aveva preso parte alle lotte per la successione di Ludovico il Pio,  duca (o meglio, marchese, che duca è un titolo longobardo e non franco) di Spoleto.

Dobbiamo tener presente che in quel tempo il Ducato era ridotto alla sola zona al di qua degli Appennini perché nell’810 Carlo Magno ne aveva staccato la zona costiera delle Marche dandogli per capitale Camerino.

Comunque Guido fu il primo dei Widoni a tenere questa importante regione nel Centroitalia e sia nella genealogia che nella serie dei duchi è identificato come Guido I.

Quando gli interessi dei Widoni si rivolsero al Regno d’Italia e all’Impero, le  successioni ducali si complicarono e spesso i nipoti e i cugini furono Duchi contemporaneamente a  Widoni re e imperatori, scompaginando così le numerazioni ordinali dei titolari.

Lasciando perdere le cronache pontificie assai poco obbiettive e in cui i Widoni figurano per lo più come gli ”scomunicati spoletini”, diciamo che i  più importanti storici di quel tempo che si occuparono di questa dinastia furono Eginardo, biografo di Carlo Magno, Nitardo, che scrisse la storia dei figli di Ludovico il Pio, e Erchimperto, storico della Longobardia minor, cioè dei ducati di Spoleto e di Benevento.

Furono loro ad attribuire ai Widoni come loro caratteristica nella dominazione ducale di Spoleto “la completa mancanza di scrupoli nella scelta dei mezzi”, l’egoismo senza riguardi, il carattere violento ed avventuroso:

attribuirono loro una linea politica autonoma dall’Impero e una forte tendenza ad ampliare, insieme ai confini del proprio ducato, con un costante coinvolgimento nella vita politica del confinante ducato di Benevento, la sfera del proprio potere rispetto all’Imperatore e al Papa.

Uno storico più recente precisa: le ambizioni di potere del duca spoletino esplodono in un violento spirito particolaristico.

Di più, “nessuna delle casate feudali trapiantate in Italia dette prova di altrettanta irrequietezza, turbolenza, prepotenza”.

L’interesse di Guido I per il ducato di Benevento è dimostrato anche dal fatto che egli prese in moglie Itta, figlia di Sicco  (o Sicone) duca di quel territorio e, guarda caso, di origini longobarde spoletine : Benevento era rimasto, anche dopo l’invasione franca dell’Italia, sotto dinastie longobarde e questo costituiva una sfida e un incentivo per i Widoni  che miravano ad impossessarsene per ampliare i propri possedimenti.

Fu infatti intervenendo nelle lotte di potere del ducato beneventano, anche perché era imparentato con la dinastia al potere (genero e cognato dei duchi Sicone e Siconolfo), che Guido I allargò i confini del ducato di Spoleto fino all’alta valle del Liri, acquisendo le città di Sora, Atina, Arpino e Viralbo.

Ma in questo agitato mondo centro- italiano erano  presenti altri fastidiosi protagonisti, i Saraceni, cioè genti di religione islamica, di origine mediorientale  o nordafricana ma non necessariamente araba.

Venuti per mare, avevano i loro centri di riferimento in vari porti del Suditalia, da cui muovevano per fare scorrerie fin nel ducato di Spoleto.

Alcuni di questi nell’846 risalirono il Tevere con le loro imbarcazioni ed assalirono Roma, devastando la basilica di San Pietro e depredando il Tesoro papale.

Il pontefice Sergio II chiese aiuto a Guido che accorse da Spoleto col suo esercito ed inseguì i Saraceni verso la Puglia dove questi avevano la loro base: ma nei pressi di Gaeta gli inseguitori più prossimi furono assaliti  e sconfitti da quelli che inseguivano.

Guido pensò bene di tornare indietro verso luoghi più sicuri.

In seguito, sempre nel corso delle lotte per il potere su Benevento, egli venne a patti con i Saraceni e anche con i Bizantini attestati in Campania, tradendo in un certo qual modo gli interessi imperiali.

Guido I morì nell’860 lasciando il ducato al figlio primogenito  Lamberto e la contea di Camerino, che era riuscito a recuperare, al secondogenito Guido (che poi sarà Guido II imperatore).

Lamberto I fu quello che con i suoi comportamenti meritò per tutta la casata la nomina di avidità, di “cupiditas pecuniae” ma anche di ribellione nei confronti dell’imperatore.

Infatti la prima menzione che ne fanno i cronisti (siamo nell’866) riguarda la sua  rivolta contro l’imperatore Ludovico II il Giovane, figlio di Lotario, che tardava a  riconoscergli la successione al Ducato: di fatto l’imperatore cercava di non rendere ereditario il possesso dei grossi feudi, il loro passaggio di padre in figlio.

Ludovico II non stette con le mani in mano e Lamberto dovette rifugiarsi a Benevento dove, con l’intercessione del duca Adelgiso  (o Adelchi),  riuscì a ottenere il perdono imperiale e l’accesso al seggio ducale, dopo aver fatto atto di sottomissione alla misericordia dell’imperatore.

Quindi in un primo tempo Lamberto fu l’esecutore della politica di Ludovico II in Italia centrale e meridionale, combattendo contro i Saraceni ma anche contro i ribelli conti di Capua, a cui strappò la città ingrandendo il suo Ducato.

E sempre difendendo gli interessi imperiali compì il suo gesto più esecrato: come dicono i cronisti del tempo,  nell’867 entrò a Roma come un tiranno uccidendo e saccheggiando in maniera feroce.

Perché?

C’era appena stata l’elezione del papa Adriano II e il popolo di Roma aveva impedito che i messi imperiali potessero manifestare la preferenza di Ludovico II per un candidato diverso: Lamberto fu quindi il portatore della punizione dell’imperatore.

Ma il nuovo papa sorvolò sul comportamento di Lamberto per non inimicarsi il suo potente mandante.

Nel frattempo il sud Italia governato da principi di stirpe longobarda (Benevento, Salerno, Capua) e il  bizantino ducato di Napoli si ribellarono all’imperatore, che fu addirittura fatto prigioniero con famiglia e seguito a Benevento nell’871.

Lamberto, a causa della sua parentela coi duchi beneventani e delle sue relazioni coi Bizantini fu sospettato di aver preso parte alla ribellione e, anche per l’intervento dell’imperatrice, Ludovico,  II appena liberato e riconciliato coi ribelli, gli tolse il ducato di Spoleto che affidò a un parente della moglie, Suppone, così come la contea di Camerino.

Questi tenne il ducato di Spoleto dall’871 all’876: in quest’anno Ludovico II morì e gli succedette Carlo il Calvo, ultimo figlio di Ludovico il Pio e Re della Francia occidentale.

Suppone come parente dell’imperatrice vedova fu subito messo da parte; quindi Lamberto ebbe di nuovo il Ducato di Spoleto e il  suo fratello minore, Guido (che poi sarà Guido II imperatore) riprese la contea di Camerino.

I Widoni recuperarono così tutto il vecchio ducato longobardo.

Carlo il Calvo non aveva fatto in Francia una buona esperienza coi parenti di Lamberto tanto che aveva messo a morte due fratelli Widoni ( di nuovo un Lamberto e  un Varnario) ma dovendo tenere a bada un papato sempre meno favorevole affidò a gente decisa e senza scrupoli (come Lamberto di Spoleto e il fratello Guido) il ducato più vicino a Roma, in forma di continua, pressante minaccia contro il Papa.

 Il pontefice Giovanni VIII non era disposto a cedere e, dopo aver incoronato Carlo il Calvo, da questi si fece riconfermare le donazioni degli Stati della Chiesa e quindi il superiore dominio del papato anche sul ducato di Spoleto.

Lamberto, per nulla impressionato del fatto di essere sottoposto formalmente al Papa, continuò ad impedire l’intervento di Roma nel suo territorio, a tenere per sé le tasse e i dazi dovuti al Papa e a  boicottare anche altre disposizioni papali.

Ed ecco che arriva in Italia un nuovo aspirante all’impero, Carlomanno  re di Baviera, e l’occasione di intervenire contro Carlo il Calvo e il papa Giovanni VIII non sfugge a Lamberto che irrompe in Roma, imprigiona il pontefice, prende ostaggi e costringe aristocratici e popolo romani a giurare fedeltà a Carlomanno, mentre il Papa fugge in Francia: nell’ambiente papale si vociferava addirittura che Lamberto volesse l’impero per sé.

Ma era ancora troppo presto per le ambizioni dei Widoni.

Comunque il papa non poté fare a meno di elevare l’anatema, la scomunica contro il duca spoletino e i suoi immediati collaboratori.

Dopo questo violento intermezzo romano Lamberto I tornò colle sue mire a Capua.

Morì nell’880 assediando quella città.

Nel ducato gli succedette suo figlio Guido III, terzo nell’ordine di successione familiare:  fu questo Guido III che per i suoi continui soprusi contro il potere papale fu chiamato da Giovanni VIII nelle sue lettere “Guido Rabbia”.

Questo giovane e violento erede dei comportamenti paterni però  morì di peste appena due anni dopo ed ecco che al potere nel Ducato arriva lo zio,  Guido II, il più importante esponente  della sua famiglia.

Più equilibrato e diplomatico del fratello Lamberto, questi  aveva già mantenuto come conte di Camerino un rapporto molto corretto con il Papato e con l’Impero.

Iniziò quindi il suo periodo ducale, riunendo le due contee di Spoleto e di Camerino e continuando la politica di espansione verso sud tipica della dinastia.

Intervenne ripetutamente nelle lotte politiche del Ducato di Benevento e acquisì definitivamente al ducato spoletino la contea di Capua.

Era coerente con questo suo legame con i duchi beneventani, di cui era già parente essendo sua madre Itta di Benevento, il suo matrimonio con Ageltrude  figlia del duca Sicone, da cui nacque intorno all’880 Lamberto, cioè Lamberto II.

Guido II, dapprima, partecipò al tentativo del papa e del nuovo imperatore Carlo il Grosso di eliminare la minaccia saracena sui territori a sud di Roma.

Ma poi vista la debolezza dell’imperatore cominciò a nutrire propositi di autonomia o addirittura di successione al trono, prima a  quello d’Italia e poi a quello imperiale.

Per questo gli furono utili i suoi  buoni rapporti sia con i Bizantini di Puglia e Calabria che con gli stessi Saraceni, ormai padroni di tutta la Sicilia e continuamente minacciosi lungo tutte le coste del Meridione.

In conseguenza di questi suoi atteggiamenti, l’imperatore Carlo il Grosso lo convocò a Nonantola alla presenza del papa Marino I per processarlo per lesa maestà e per imporgli di restituire al papa i territori che, nel frattempo, gli aveva sottratto.

Ma l’astuto Guido si sottrasse al processo fuggendo ad asserragliarsi nella sua Spoleto.

Carlo il Grosso allora gli mandò contro il duca Berengario del Friuli, che tra l’altro aveva per moglie Bertilla di Spoleto, figlia di quel Suppone che era stato duca di Spoleto dall’871 all’876, e cominciò così la lunga lotta tra Guido e Berengario per il Regno d’Italia e successivamente per il potere imperiale.

Ma l’imperatore era così debole allora che, convocato Guido a Pavia e ricevuto il suo giuramento di fedeltà, lo riammise in tutta la pienezza dei suoi poteri.

Guido stava quindi rafforzando le sue posizioni a Benevento e a Capua e sbaragliando i Saraceni di Campania quando gli arrivò la notizia della rimozione dal trono di Carlo il Grosso e poi della sua morte .

Siamo nell’887.

E qui comincia la storia imperiale dei Widoni di Spoleto.

Senza indugi, Guido , lasciato il ducato al nipote Guido IV, radunò il suo seguito e il suo esercito  e corse in Francia.

La sua posizione come candidato all’Impero era molto forte in Italia: il consenso dei grandi del Regno, le sue vittorie contro i Saraceni e la forzosa benevolenza papale ne facevano il prossimo sicuro Re d’Italia e quindi, per il legame di questo regno con l’impero, il più forte pretendente alla successione di Carlo il Grosso.

In Francia viceversa era malvisto e temuto: inoltre in quel paese erano già in lizza per il regno Oddone (Eudi)  conte di Parigi, molto apprezzato per le sue vittorie contro gli invasori vichinghi, ed il giovane carolingio  Carlo il semplice.

Ma c’è da tener conto che la casata dei Widoni si era ampiamente  ramificata in Francia, in Bretagna, nell’Angiò, e in Franconia occidentale ed aveva molti alleati.

Inoltre un parente di Guido, Folco il Venerabile, vescovo di Reims, era il più importante prelato di Francia e, in collegamento stretto  col papa, era in grado di sostenere la candidatura di Guido, tanto che riuscì a farlo eleggere re dei Franchi  a Langres da un gruppo di aristocratici dissidenti, contrari agli altri due candidati.

Ma la grande maggioranza dei Franchi reagì incoronando Oddone a Compiegne il 29 febbraio 888 e il sogno francese di Guido svanì.

Egli si era messo preventivamente d’accordo con Berengario per spartirsi l’impero: egli si sarebbe preso la Francia e Berengario l’Italia.

 Ma ora, dopo la delusione francese e ripassate le Alpi, il suo obbiettivo tornava ad essere il regno d’Italia e Berengario il suo avversario.

Il territorio del Regno d’Italia era allora sotto questi due potenti feudatari: la parte nord-est dell’italia settentrionale era in mano a Berengario duca del Friuli e la parte nord-ovest e centro meridionale (fino a Capua compresa) era controllata da Guido  e da suo nipote.

Logicamente per il possesso del titolo reale la parola passò alle armi: dopo una prima sconfitta presso Brescia, Guido, fatti arrivare rinforzi da Spoleto e dalla Toscana, sconfisse duramente Berengario alla battaglia del Trebbia, affluente emiliano del Po.

Lo sconfitto si ritirò a Verona e Guido fu incoronato a Pavia re d’Italia (il Sansi dice “con la corona ferrea”).

La posizione del Widone era ormai tale che l’impero era alla sua portata, ma per avere l’assenso papale dovette firmare un capitolare molto favorevole al clero.

Anche se in Germania esisteva un forte pretendente imperiale di discendenza carolingia, Arnolfo di Carinzia, Guido si recò a Roma dove il papa Stefano V il 21 febbraio 891 incoronò lui e la moglie Ageltrude.

Sembra che il papa già propendesse per il candidato tedesco ma la minacciosa vicinanza di Guido di Spoleto lo costrinse per il momento a soddisfare l’ambizione di quest’ultimo.

Così, come dice qualcuno malato di campanilismo, Spoleto divenne la “capitale dell’Impero”: opinione estremamente debole perché il Sacro Romano Impero non ha avuto una capitale dopo Aquisgrana e fino alla Vienna degli Asburgo,  perché Guido stava preferenzialmente a Pavia e poi perché i regnanti, tra spedizioni di guerra e viaggi a Roma, in Francia o in Germania, non hanno mai avuto altro trono che la sella del loro cavallo.

Guido era il primo imperatore non carolingio, non discendente direttamente da Carlo Magno, ma il suo obbiettivo era sempre l’unificazione dell’impero sotto la forma , come è scritto in un suo sigillo di piombo, di “renovatio regni Francorum”.

Per dare stabilità e continuità alla dinastia fece  incoronare coimperatore nella Pasqua dell’892 dal nuovo papa Formoso il figlio Lamberto, appena dodicenne.

Ma papa Formoso, inizialmente favorevole a Guido, forse per  il solito timore dei papi per il  prepotente vicino che da Spoleto incombeva sul pontificato romano, si rivolse ad Arnolfo di Carinzia perché venisse a Roma per liberarlo dalla minaccia dei Widoni.

All’inizio dell’894 Arnolfo scese in Italia e occupò Brescia, Bergamo, Milano e Pavia da cui Guido fuggì per ripararsi a Spoleto.

Radunati i feudatari fedeli, Guido si preparava a resistere quando Arnolfo, spaventato dalla difficoltà dell’impresa, fece dietrofront e tornò in Germania.

Guido non poté godere di  questa incruenta vittoria perché mentre si apprestare a riprendere la lotta contro Berengario morì improvvisamente ai primi di novembre dell’894 in un suo fortilizio sul fiume Taro.

Logicamente gli succedette il giovane Lamberto, che non doveva avere più di quindici anni, sorretto e guidato dalla madre Ageltrude, donna di grande forza e di notevole intelligenza politica tanto che il marito l’aveva nominata “consors regni”: ma anche dotata di un’aggressività e di uno spirito di vendetta spinti  fino alla ferocia.

Fu lei a difendere Pavia contro il redivivo Berengario, che dovette ritirarsi nei suoi domini all’inizio dell’895.

Papa Formoso, di fronte a questa dimostrazione di potenza dei Widoni, Lamberto e Ageltrude, si affrettò a ritornare loro amico dichiarando di voler trattare il giovane imperatore come un figlio carissimo.

Pochi mesi dopo, però, preoccupato delle operazioni militari condotte da Guido IV di Spoleto per conto di Lamberto e Ageltrude nel meridione, cambiò improvvisamente  atteggiamento e mandò ambasciatori ad Arnolfo di Carinzia perché scendesse di nuovo in Italia a difendere la Chiesa minacciata di accerchiamento dai Widoni spoletini.

Questa volta Arnolfo venne con una forza militare in grado di giungere fino a Roma.

Dopo la presa di Pavia, tutto il settentrione e parte del centro Italia fu suo: molti grandi del regno, anche quelli già alleati dei Widoni, passarono dalla sua parte; in particolare Maginfredo conte di Milano si ribellò a Lamberto e ottenne da Arnolfo il governo dell’Italia transpadana ad occidente dell’Adda.

Il 21 febbraio 896 Arnolfo giungeva alle porte di Roma: dopo aver combattuto contro i difensori comandati da Ageltrude, asserragliatasi nella Città Leonina, Arnolfo riuscì ad entrare e a ricevere, il 22 febbraio, la corona imperiale a San Pietro per mano di papa Formoso.

Lamberto e Ageltrude riuscirono a fuggire e a rinchiudersi  dentro le possenti mura di Spoleto.

Come abbiamo visto all’inizio Arnolfo, mentre si accingeva a chiudere la partita coi Widoni, cadde malato e dovette tornare in Germania.

Lamberto  rientrò subito a Pavia e, ottenuto nuovamente il controllo dell’Italia settentrionale, annullò gli atti di Arnolfo e giudicò alcuni traditori, tra i quali Maginfredo di Milano, che fu decapitato.

Anche Berengario, però, si era affrettato a recuperare il dominio su Verona e sulla Marca del Friuli.

Tra ottobre e novembre dell’896 i due contendenti al trono italico si incontrarono sul Ticino, vicino a Pavia e si accordarono sulla spartizione del territorio del regno: Berengario aggiunse ai suoi possedimenti il territorio tra il Po e l’Adda e la città di Bergamo; Lamberto ebbe tutto il resto dell’Italia.

Si decise anche il matrimonio di Lamberto con Gisella, figlia di Berengario, matrimonio che poi non si realizzò per la improvvisa morte del promesso sposo.

Al principio dell’897, coperto a nord dall’accordo con Berengario,

Lamberto, con la madre Ageltrude e il cugino Guido IV di Spoleto, tornò a Roma dove fu acclamato imperatore e fu incoronato dal successore di papa Formoso, Stefano V.

Degno compimento di questa incoronazione fu il processo al cadavere di papa Formoso, il famoso “sinodo ad cadaver”.

Ne seguì la lunga e complessa questione formosiana che vide , nelle prime fasi, la morte per strangolamento  di papa Stefano V in seguito ad un tumulto provocato dai fautori di Formoso,quindi l’elezione  dei papi Romano e Teodoro I che governarono solo qualche mese.

Nel gennaio 898 il neoeletto Giovanni IX volle risolvere la  gravissima questione e anche per questo cercò l’appoggio di Lamberto con il quale tentò di mettere in piedi una forte alleanza, dalla quale entrambi si attendevano il consolidamento del loro potere.

Il papa riunì immediatamente a Roma due concili nei quali  furono cassati gli atti del sinodo del cadavere e papa Formoso fu riabilitato.

 Pochi giorni dopo Lamberto convocò una dieta a Ravenna (febbraio 898), cui prese parte il papa con circa settanta vescovi provenienti dall’Italia centrosettentrionale.

La dieta convalidò l’elezione a imperatore di Lamberto e delegittimò Arnolfo di Carinzia che intanto aveva assunto il potere imperiale in Germania.

Ma i problemi non erano finiti per Lamberto  perché una ribellione di Adalberto di Toscana e di altri feudatari lo costrinse a riprendere le armi e a sottomettere i ribelli con la forza.

Stava ancora combattendo contro di loro quando una caduta da cavallo durante una partita di caccia ne provocò la morte il 15 ottobre 898.

Si dice anche che sia stato assassinato a tradimento da Ugo, figlio di Maginfredo di Milano, che così  vendicava la morte del padre, ma anche su questo gli storici non sono d’accordo.

L’imperatore Lamberto II fu sepolto a Varfio presso Piacenza.

Con lui si estinse la dinastia dei Widoni, almeno nel regno d’Italia,   perché  già da un anno era morto Guido IV duca di Spoleto combattendo presso un ponte sul Tevere mente tentava di rientrare a Roma, e  il ducato,  ricaduto sotto l’alta sovranità del papa, fu da questi affidato ad Alberico dei conti di Tuscolo e,dopo di lui, ad una lunga schiera di nobili  romani.

 Due brevi considerazioni per terminare: la prima riguarda l’immagine di violenza, di inganno e di tradimento che le cronache ci lasciano dei Vidoni.

Non ci lasciamo impressionare: quelli erano i modi di gestire il potere tipici dei loro tempi; essi non fecero né più né meno di quello che tutti gli invasori goti, longobardi, franchi , germanici in generale hanno fatto per tenere in pugno il paese.

E, anche se spiace constatarlo, la Corte pontificia si è adattata a quei metodi con estrema facilità.

Inoltre dobbiamo ammettere che il legame della dinastia dei Widoni  con Spoleto è stato molto debole, come discontinua e rara la loro presenza qui: correvano a chiudersi dentro le possenti mura di Spoleto solo quando correvano grossi pericoli.

Possiamo concludere che tale legame consiste tutto nel titolo feudale che li contraddistingue nelle storie d’Italia, di Francia e del’Impero: il fatto che dopo il loro dominio fossero ancora conservate molte usanze longobarde nei nostri territori dimostra la scarsa incidenza di questi duchi sul tessuto civile e politico della città e  del ducato.

Ma il breve periodo di gloria di questa famiglia nominalmente spoletina, conquistata per valore militare e per spregiudicatezza  politica, con  l’astuzia e con  la violenza, risalta in modo straordinario nella storia dei secoli bui del nostro Medioevo e riverbera la sua notorietà di stirpe imperiale  sulla nostra città.