Racconto del Viaggio a Matera e Dintorni da parte del Presidente

                          Tour Matera 28 maggio 01 giugno 2019                                 1

           ( Melfi, Rionero in Vulture, Altamura, Matera, Potenza, Taranto, Alberobello)

Preambolo

Forse nessuno ha fatto caso che. L’abituale  diario del Tour di fine Anno Accademico, non è stato fatto con la solita puntualità. La chiusura dell’Unitre ha contribuito alla disaffezione alla lettura degli avvenimenti che ci coinvolgono, forse anche un po’ di disinteresse degli accadimenti che, in ultima analisi, riguardano solo una cinquantina di Soci. Da parte mia, me ne scuso, perché impegni che hanno coinvolto problemi dell’Unitre Spoleto e dell’Unitre Nazionale mi hanno allontanato dalla stesura e dal piacere di tratteggiare l’avvenimento che, per varie ragioni, ha rappresentato notevoli novità rispetto le precedenti uscite di fine Anno  Accademico. Ma voglio procedere con ordine, come gli avvenimenti si sono succeduti. Era da un po’ di tempo che la nostra Direttrice ci aveva allertato sulla possibilità che la visita, da lei fortemente voluta e studiata, non l’avrebbe avuta fra i partecipanti. Le motivazioni, anche alla luce di quanto poi avvenuto, erano basate sulla difficoltà di fare un viaggio così movimentato, avendo in corso un problema al ginocchio, che le causava forte dolore ed una leggera difficoltà deambulatoria. Decisione alla quale, conoscendo la tenacia e l’entusiasmo nell’affrontare le difficoltà, ha lasciato tutti nella convinzione che all’ultimo momento avremmo vista la nostra Direttrice al comando del gruppo.

Giorno prima della partenza

Ricordo che all’appuntamento che ci si era dato, il giorno prima della partenza, per stivare i bagagli e permettere un avvio veloce il giorno dopo, vedendo la Direttrice fra di noi, ci fece pensare  che avesse superato l’impedimento e che avrebbe fatto gruppo insieme a noi partenti Ma fu solo per pochi minuti perché la conferma della sua rinuncia  al viaggio venne confermata., in modo irrevocabile. Superato gioco forza la perdita della nostra animatrice, avemmo conferma che alla guida del manipolo, sarebbe venuta Ida la titolare dell’Agenzia di Viaggio M’AMA Viaggi con l’ausilio dell’imprescindibile deus ex machina Agostino Lucidi.                                                                       Qui avemmo un problema prontamente risolto da Angela.                              L’appuntamento era per le ore 18,00 con possibilità di presentarsi per l’imbarco bagagli entro e non oltre le 19,00. Ma alle 18,30 del Pullman che avrebbe dovuto accogliere i bagagli, nemmeno l’ombra, Poi tutto si è chiarito, ma con un pizzico di suspense. La Direttrice notando l’assenza del mezzo, telefonava prontamente al responsabile, che ironia della sorte aveva lasciato la segreteria telefonica risultando momentaneamente irreperibile. La Direttrice lasciava un accorato appello, (e immaginiamo rimprovero), al responsabile, ma altro in quel momento non poteva fare. Invece il responsabile, tornando al suo posto di lavoro, aveva udito il messaggio ed aveva già disposto la partenza da Foligno del Pullman. Quindi tutta la vicenda si è chiusa con un semplice ritardo nell’imbarco bagagli, dando la possibilità a Sandro di fare uno scherzetto a uno dei Soci, nascondendogli i bagagli e facendogli credere che erano spariti. Si era già in clima goliardico e si pregustava il breve, ma intenso, programma che ci aspettava.

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Partenza

 La partenza, al primo luogo di imbarco era previsto alle ore 06,00 precise e a seguire le altre salite. Ida ben addestrata e istruita dalla Direttrice, e anche  per la sua professionalità nei viaggi organizzati, non aveva difficoltà a svolgere la sua funzione. Il viaggio che presentava un certo impegno per la sua lunghezza e per le visite previste, ha necessitato soste strategiche e la possibilità di fermarsi per un pasto frugale, in quanto non previsto dal programma, la sosta in un locale convenzionato. Tutto bene e arrivo alla prima meta Melfi

Melfi  –   1° giorno  martedì 28 maggio 2019

Il Vulture Melfese si trova nella zona nord-orientale della Basilicata, fra la Puglia, la Campania e il Potentino. Territorio caratterizzato da un susseguirsi di montagne coperte da castagni querceti e da altipiani con oliveti, vigneti. La cima più alta è il Vulture, vulcano spento, che alle sue pendici ha il suo cratere divenuto dimora dei laghi di Monticchio. La zona fu punto d’incontro di diverse civiltà, dauna, peuceta, lucana e sannita fino alla dominazione romana.       Melfi nel medioevo diventa particolarmente importante prima con i Normanni, e  fu la capitale del regno e per Federico II che emanò nel 1231 le “Costitutiones  Augustales”, il più antico testo di leggi del medioevo.                                                                                     L’imperatore Federico II di Svevia scelse il castello normanno come residenza estiva che gli permetteva la pratica della falconeria sua passione.

La città ha una cinta muraria unica nell’Italia meridionale con mura normanne, con torrioni di avvistamento. L’abitato è dominato dal maestoso castello normanno-svevo, costruito dai normanni e ampliato da Federici II, ivi ha sede il “Museo Archeologico Nazionale del Vulture Melfese, Massimo Pallottino”.                                                                                                              Il maniero è legato al nome di importanti personaggi che, nel corso dei secoli, videro Roberto il Guiscardo fondatore, Federico II di Svevia che lo ampliò, Carlo I d’Angiò che lo dotò di nuove torri, e i Caracciolo e i Doria lo rimaneggiarono. Emerge sulla sommità di un colle e non si può che condividere il giudizio di quanti lo considerino il castello più noto della Basilicata e uno dei più grandi del sud Italia.                                  Si accede attraverso un ponte, un tempo levatoio entrando nel bel cortile principale, sul quale si aprono il palazzo e la cappella gentilizia.                                                                                       Al piano terra sono custoditi i reperti  archeologici rinvenuti nel comprensorio.                      Nella torre dell’Orologio è esposto lo splendido Sarcofago romano, ritrovato nel 1856, in località Albero in Piano di Rapolla, nei pressi di una grande villa romana lungo il percorso della via Appia.  Si tratta di un sarcofago raffinato, di una bottega di scultori dell’Asia Minore, e riproduce, nella parte inferiore una struttura architettonica in cui sono inseriti divinità ed eroi.  Sul letto-coperchio giace la raffigurazione della giovane defunta cui era destinato.  Vicino al capo si trova un amorino con la fiaccola volta verso terra, simbolo della morte e ai piedi un cane di cui sono rimaste le zampe, asportato quando il sarcofago era conservato nella piazza di Melfi. La giovane con la mano destra sostiene un mazzolino di fiori. Sotto il fregio di tritoni e mostri marini, sono cinque nicchie in ogni lato lungo, tre nel lato corto e due nell’ultimo, dove è la porta a due battenti, e contengono separate da sedici colonne scanalate, le statuette di numi ed eroi scalpellate a forte rilievo. Il Sarcofago mostra la seguente iscrizione che tradotta

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dal latino è “ A Marco Lucio Figlio di Marco Fausto la figlia Fusca pose a Venere Ericina vincitrice Lucio Cornelio Silla  le spoglie tolte ai nemici per voto dedicò Cecilia Metella”                                                                                                       Salendo ai piani alti si possono visitare alcune stanze con mobili d’epoca dell’appartamento occupato a suo tempo dalla famiglia Doria.                                                                                                 Rapida visione dall’esterno della Cattedrale di Santa Maria Assunta, data l’ora e il programma che ancora ci attendeva.  Dell’edificio normanno del 1153 resta solo il campanile, mentre il corpo è stato rifatto quasi interamente nel XVIII secolo in stile barocco. Edificata da Roberto il Guiscardo e dedicata a San Pietro, mostra il contrasto fra lo stile normanno del campanile e quello della facciata rifatta a seguito del sisma del 1694. L’esterno mostra la facciata divisa da una cornice ed entrambe le parti sono attraversate da lesene con capitelli corinzi e mostra un portale in pietra bianca decorata da due angeli che sorreggono una cornice ovale.                                                            Il campanile, a pianta quadrata, si sviluppa su tre piani decorati da imponenti teste di leoni in pietra bianca e bifore circondate da fregi policroni in lava scura e chiara, con l’eccezione, all’ultimo piano, che utilizza  pietre vulcaniche bianche e nere del vulture che compongono un mosaico.                                                                                         Finita la visita a Menfi ci attendeva la visita a Rionero in Vulture dove alle 16,00 avevamo la visita di una delle più belle cantine del 1600 “le Cantine del Notaio” che prevedeva una degustazione. Accoglienza ottima, con visita alle cantine ricavate nelle grotte, risalenti al 1600, e scavate nel tufo vulcanico, che, grazie ad un perfetto e naturale equilibrio di temperatura, umidità costante e ventilazione , garantiscono condizioni eccezionali di affinamento del vino, che riposa all’interno di barriques di rovere francese. Presentazione di vari vini prodotti dalla ditta, seguita da una dettagliata spiegazione di tutto il ciclo di produzione invecchiamento ed imbottigliamento. La degustazione veniva accompagnata da stuzzichini che assicuravano l’apprezzamento delle bevande e il giusto spazio fra un assaggio e l’altro. La visita terminava, per chi lo avesse voluto,  con la possibilità d’acquisto dei prodotti vinicoli più graditi all’assaggio. Diversi Soci hanno approfittato dell’occasione per acquistare i prodotti che avevano trovato più gradevoli.                                                                                                   Era ormai l’ora di lasciare Rionero in Vulture e raggiungere Altamura dove ci attendeva l’Hotel 4 stelle “ Fuori le Mura “per la cena e la sistemazione nelle camere.                                             L’operazione ricevimento è avvenuta con rapidità ed i bagagli ci sono stati portati nelle rispettive camere. Unico problema, ormai generalizzato in quasi tutte le strutture alberghiere, l’assenza nelle camere di cassettiere, per cui, quando la permanenza supera la singola notte, crea problemi di sistemazione di biancheria ed altro. Sembra che tutto sia organizzato per soggiorni veloci e di lavoro. Altro neo non piccolo la impossibilità d’avere uno spazio e dei tavoli per accogliere i giocatori a carte o per scambiare quattro idee intorno ad un tavolo. La motivazione era che le sale c’erano ma erano state allestite per altri avvenimenti. Fatto sta che  nelle quattro serate nelle quali abbiamo soggiornato, la situazione non è mutata e i giocatori si sono ridotti a sedere su de sedili bassissimi giocando con tavoli altrettanto bassi.   Buono lo standard del servizio al tavolo e il menù, appena sufficiente quello nelle camere, letti rifatti per modo di dire.                                                                                                              Al termine della cena, Ida ci dava l’appuntamento per la partenza del giorno dopo, fissando un’ora standard di sveglia e raccomandandoci la massima puntualità. La giornata prevedeva la visita a Matera che dava il nome a tutto il tour dei 5 giorni “Matera & dintorni”

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Matera – 2° giorno mercoledì 29 maggio 2019

Sveglia regolare e colazione ricca e variata, per tutti i gusti. Dal semplice tè alla più tradizionale colazione italica, cappuccino, cornetto, yogurt e caffè, o a scelte di tipo English o nordico a base d salumi formaggi frutta e tantissimi dolci. Alla glicemia ci penseremo al ritorno a casa!                    Partenza regolare con rapido controllo da parte di Ida, sempre attenta ma alla quale mancava la carica e il carisma della nostra amata Direttrice.                                                           Arrivo a Matera, passando attraverso un paesaggio con tratti di notevole impatto cromatico e paesagistico. Anche il trasferimento ha avuto il suo valore conoscitivo, passando da un paesaggio ubertoso a strette forre che sembravano chiudere ogni vista spaziale. Poi seguivano prati e coltivazioni e vigneti e oliveti. Uno spettacolo vario con una presenza ossessiva,  ove il vento era immaginato spirasse imperioso, dalle pale eoliche. Veramente una quantità impressionante e di gran impatto negativo sul paesaggio che ne rimaneva deturpato. Pensando tra l’altro che ogni colonna impiantata con le pale necessita di uno scavo in profondità di parecchie decine di metri e che il raccordo per far affluire l’energia ad un punto prescelto ha necessitato la creazione di una rete sotterranea di cavi notevole, la cosa fa molto pensare e ragionare sulla tecnologia moderna, distribuita come se tutti i paesaggi fossero uguali.. Le successive notizie di interessi privati, favorite da uomini politici, come notizie diffuse dalla stampa e dalla Radio ci hanno  lasciato ancora di più interdetti su decisioni a tappeto così impattanti sulla natura e il paesaggio ,di alcune zone in particolare.                        Arrivo a Matera come da programma, ed incontro con la guida per la visita della “Capitale europea della Cultura 2019”. Come riassumeva molto efficacemente la breve informativa della “M’Mama Travel”, Matera con i suoi “sassi” rappresentano la parte antica della città interamente scavata nella roccia.  Non si tratta solo di uno spettacolo di per se stesso notevole, ma dobbiamo capire che la città nota con gli appellativi di “Città dei Sassi” e “Città Sotterranea” è conosciuta in tutto il mondo per gli storici rioni Sassi, che ne fanno una delle città ancora abitate più antiche del mondo, il cui grande insegnamento all’umanità risiede nel creare, in una situazione di massima inospitalità, per il territorio e per le risorse idriche, una zona  in piena autonomia che assicurava la sopravvivenza. Notevole vedere come tutte queste abitazioni, apparentemente fragili, hanno una ingegnosa rete per la raccolta di acqua piovana che convogliata in cisterne permetteva la possibilità di sopravvivenza. Ecco che tutte le gronde e i pluviali, raccordati in modo sapiente raccoglievano ogni goccia di acqua che cadeva dal cielo, arricchendo la cisterna singola o di un gruppo di abitazioni.                                                Lo scrittore Carlo Levi, che durante il periodo fascista fu ivi confinato. definiva la città “Chiunque veda Matera non può non restare colpito, tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza”. La città “Sassi di Matera” costituiscono la parte antica della città che si distende in due vallette, separate da uno sperone roccioso, in Sasso Barisano  e Sasso Caveoso.  Il Sasso Barisano, prendendo come riferimento la Civita fulcro della città vecchia, è il più ricco di portali scolpiti e fregi che finiscono per nascondere il cuore sotterraneo.                                                              Il Sasso Caveoso, assume la forma di una cavea teatrale, da cui forse il nome. Al centro della Civita, lo sperone roccioso che separa i due Sassi, ha sulla sua sommità  la Cattedrale ed i palazzi nobiliari.                                                                                          La Cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant’Eustachio fu costruita in stile romanico pugliese nel XIII secolo. Nasce sull’area dell’antico monastero benedettino di Sant’Eustacchio.

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Completata nel 1270, nel 2003 furono eseguiti lavori di restauro e ancora nel 2006 lavori di consolidamento. A differenza dell’interno che ha subito diverse trasformazioni, l’esterno conserva la sua forma originaria. La facciata è dominata dal rosone, affiancata da 4 colonnine, mentre dal frontone scendono 12 colonnine pensili che simboleggiano i 4 evangelisti e i 12 apostoli, sostenute da telamoni. La porta maggiore ad arco a tutto sesto presenta nella lunetta la Madonna della Bruna. Ai lati della porta le statue dei santi Pietro e Paolo. Nella facciata destra su piazza Duomo due altre porte Porta dei Leoni, per due leoni scolpiti nella pietra, e porta di piazza con un bassorilievo raffigurante Abramo. Sul lato posteriore vi è il campanile, coevo della chiesa, alto 52 metri.                                                                                                        L’interno è a croce latina con tre navate, quella centrale si eleva rispetto alle altre. Un affresco bizantino risalente al 1270, un sarcofago detto di Sant’Anna contenente le sue spoglie. L’altare maggiore è sovrastato dalla grande pala raffigurante la Vergine attorniata dai Santi. Nell’abside pregevole coro ligneo in noce massiccio.                                                           Certo dai vari “bel vedere” che si affacciano sui Sassi di Matera non si può che comprendere quello che Giovan Battista Pacichelli nel “il Regno di Napoli in Prospettiva” scriveva “La città è d’aspetto curiosissimo, viene situata in tre valli profonde nelle quali, con artificio, e sulla pietra nativa e asciutta, seggono le chiese sopra le case e quelle pendono sotto a queste, confondendo i vivi e i morti la stanza, i lumi notturni la fan parere un cielo stellato” .                            Avevo accennato alle cisterne e alla raccolta delle acque, perché benché la scelta del sito per la sua natura avesse garantito una estrema sicurezza all’abitato, ha obbligato i suoi abitanti a superare enormi difficoltà nell’approvvigionamento delle acque. I Sassi infatti trovandosi su un enorme banco calcarenitico, a circa 150 metri dal livello del torrente, risultano essere lontane per assicurare l’approvvigionamento idrico in caso d’assedi. Sin dalle fasi neolitiche, gli abitanti hanno sfruttato a proprio vantaggio la friabilità della roccia e le pendenze per realizzare un complesso sistema di canalizzazione delle acque, condotte in una diffusa rete di cisterne.   Matera, pertanto, sotto quest’ottica, può essere considerata uno dei più antichi e meglio conservati esempi di bio-architettura al mondo.  Strutture d’apparenza semplici e rudimentali si rivelano come dei prodigi di efficienza tecnica. Le elementari tecniche arcaiche, acquistano un fascino ed un valore inimmaginabili un tempo.                                                                                              Finalmente, oggi, nel segno della cultura urbanistica europea, la sfida della riqualificazione, del recupero sostenibile, della riconquista dell’identità perduta, per i motivi, hanno riportato alla ribalta questa città unica, diventata a ragione patrimonio mondiale dell’umanità.                    Dal punto di vista architettonico si presentano una serie incredibile di elementi che si sono stratificati nel tempo, dai complessi rupestri scavati dall’uomo, alle chiese rupestri, aree di sepoltura, che si alternano continuamente con fabbricati di tutte le diverse ere: medioevo, rinascimento, barocco fino all’epoca moderna. Ci si trova in continuità grotte, ipogei, palazzotti, chiese, vicinati, scalinate, ballatoi, giardini e orti, incastonati l’uno nell’altro a formare un luogo unico e magico.                                                                                                      Le Chiese Rupestri  sono testimonianza  del passaggio evolutivo dell’uomo dalle fasi preistoriche al cristianesimo.  Fra le più importanti  Santa Maria de Idris – San Giovanni in Monterrone, situata all’interno dello sperone roccioso che domina il Sasso Caveoso e dalla vicina piazza, in posizione stupenda si può godere una panoramica unica della città e sulla Gravina. Il fiume sorge proprio al confine tra l’altopiano delle Murge e la fossa Bradanica,

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solcata dal fiume Bradano. Il torrente Gravina, affluente del Bradano, scorre nella profonda fossa naturale che delimita i due antichi rioni della città: sasso Barisano e  Sasso Caveoso.    La visita alla Casa Grotta di Vico Solitario, mostra un’antica abitazione tipicamente arredata. Qui è possibile capire usi e costumi degli abitanti degli antichi Rioni Sassi di Matera, prima del loro abbandono. Arredata con mobili e gli attrezzi autentici del periodo in cui era abitata. L’abbandono avvenne in seguito alla legge di risanamento dei Sassi sancita dal presidente del consiglio Alcide De Gasperi nel 1952. Una grande cavità rocciosa, fa da cornice, l’arco d’ingresso, unico elemento costruito che si addossa alla grotta, nella quale è stata ricavata l’abitazione; le ultime modifiche sono risalenti al 1700. Entrando si viene accolti da un angolo in cui vi è il focolare con la cucina, al centro della casa un tavolo con l’unico grande piatto dal quale tutti mangiavano, il letto composto da due cavalletti in ferro sui quali poggiavano delle assi in legno e il giaciglio costituito da un materasso ripieno di foglie di granturco, di fronte al letto, la stalla con la mangiatoia,  la casa tufacea dalla quale si ricavavano i blocchi di tufo ed una cavità circolare usata come letamaio o come deposito per la paglia. Anche qui è di particolare interesse il sistema di raccolta delle acque piovane dall’esterno: ben visibili la canalizzazione e la cisterna. Ormai era l’ora del pranzo, e il gruppo, si apprestava a raggiungere il Ristorante “Il Terrazzo Sui Sassi”. Anche il percorso che ci conduceva al ristorante ha rappresentato un itinerario inconsueto in altre analoghe situazioni. Una lunga scalinata tortuosa e stretta immetteva al locale, con inevitabile necessità di sostare per dar luogo a chi risaliva dal locale di poter riguadagnare la uscita dal percorso delle scalette.  La sosta prandiale avveniva con la solita convivialità e particolarmente gradita per riposare le stanche membra che erano state messe in prova duramente  i vari dislivelli superati

 Pomeriggio 

Terminato il pranzo ed effettuate tutti i riti necessari per affrontare il pomeriggio, ci si riuniva per raggiungere il Pullman che ci avrebbe portato sull’altura che fronteggia Matera e che ne permette la sua visione magica. La strada tortuosa e non  breve, meritava d’essere fatta. Avremmo perso infatti una visione che, personalmente, avrebbe meritato un viaggio apposito. L’unico rammarico, che però comprendo, per via dell’organizzazione di tutta la giornata, sarebbe stata quella di andarci al mattino. Infatti la visione sarebbe stata impreziosita dai raggi del sole che posto alle nostre spalle , avrebbe inondato con la sua luce completamente i Sassi di Matera. Il belvedere dal quale si può godere tale spettacolo., è la piana delle Murgia materana che si distende dalla Gravina materana fino a quella Pugliese. Un altopiano calcareo ricoperto dalla tipica vegetazione mediterranea.

Rientro ad Altamura

Con le immagini di quanto visto ci si imbarcava sul Pullman per tornare a Altamura al nostro Hotel che ci avrebbe accolto per una doccia ristoratrice prima della cena. Neanche a dirlo la conversazione verteva prevalentemente su quanto visto, un mondo ed un paesaggio così distante dalla nostra realtà umbra e dall’organizzazione del mondo tumultuoso moderno.                    La chiusura della giornata avveniva con l’ordine del giorno su quanto ci attendeva il giorno dopo, con orario di partenza, di sveglia, di colazione.  Alcuni Soci sceglievano di passare le ultime ore della giornata giocando a carte (con tutti i problemi già segnalati), alcuni altri

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decidevano di fare una capatina al centro della città in occasione di alcuni festeggiamenti cittadini. I più, fra i quali il sottoscritto, sceglievano d’andare in camera per un riposo che avrebbe contribuito ad affrontare meglio la giornata successiva che prevedeva la visita di Potenza.

Potenza – 3° giorno giovedì 30 maggio 2019

Dopo la ormai consolidata colazione ad libitum e un rapido rientro in camera per le ultime necessità, ci si imbarcava con destinazione Potenza.  La distanza si copriva in circa 1 ora e mezza e ci vedeva puntuali all’appuntamento con la guida, anzi eravamo in loco prima del suo arrivo. Il breve tempo d’attesa, veniva impiegato nell’affollare un bel Caffè in piazza dopo aver lasciato il pullman e aver usufruito degli ascensori che ci avevano portato in centro..                            Devo dire che è stata la giornata meno interessante di tutto il Tour. Nulla contro Potenza, naturalmente, ma la scelta del giorno coincideva con una grande festa religiosa e civile, per cui l’atmosfera che si viveva in città cozzava con la nostra abituale necessità di deambulazione lenta alla ricerca del bello che la località offre.                                                                               Era la festa patronale della città, che si celebra ogni anno il 30 maggio, la cattedrale svolge un ruolo molto importante , è il punto di partenza della processione del Santo. La statua conservata all’interno del  duomo viene condotta fuori in una processione composta  dall’arcivescovo e tutto il clero potentino, ma anche gli abitanti della città. La processione attraversa tutto il centro storico per poi tornare nella cattedrale , dove viene celebrata la Messa solenne. La situazione veniva parata ricoverandoci nel Teatro Civico dove si poteva sentire in modo migliore ciò che la nostra guida non riusciva a far circolare fra di noi per il clangore che non permetteva di ascoltarlo all’aperto. Si apprendeva così che, a peggiorare la situazione, la guida ci informava, che il Museo archeologico nazionale della Basilicata per la festività locale era chiuso. Merita segnalare che il Teatro Stabile è dedicato al musicista potentino Francesco Stabile. Fu costruito a immagine del teatro San Carlo di Napoli, con tre ordini di palchi e un loggione. Si ripiegava, in maniera non accorta, per una visita alla Cattedrale, ma per la festività si stava celebrando  la Messa Solenne per la festività del Patrono cittadino San Gerardo A questo punto il gruppo aveva un piccolo sbandamento perché chi ha forzato l’ingresso in chiesa e chi si è aggirato per i dintorni in cerca di impegnare il tempo.                                              La Cattedrale  di Potenza ha subito notevoli ristrutturazioni  all’interno  (1783 – 1799) divenne un edificio in stile neoclassico, da un allievo del Vanvitelli, Antonio Magri. Per il terremoto del 1930, subì restauri e rifacimenti ed ancora, a seguito dei bombardamenti del 1943, altri rifacimenti. Ancora nel1980 con il rovinoso terremoto dell’Irpinia, portò a nuovi restauri nel 1985. La facciata principale ha una struttura molto semplice con  due spioventi. E’ ornato da due lesene in pietra squadrata che sorreggono un altro cornicione ed infine nel terzo spazio un timpano al centro del quale si trova un piccolo rosone romanico. Sulla facciata trova posto una grande finestra con mostre in pietra finemente lavorata. Un’ampia gradinata semicircolare permette l’accesso alla chiesa. II portale d’ingresso ha due ante bronzee, al centro del portale è raffigurato il Cristo risorto, con ai quattro angoli i simboli dei quattro evangelisti, ed inoltre dall’alto in basso degli episodi del popolo potentino dal 1111 fino alla venuta di San Gerardo. Alla destra del portale principale si trova il portone secondario, con una piccola scalinata ed un timpano sorretto da varie colonne. Sono presentate immagini scolpite la raffigurazione

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dell’Assunzione della Vergine, San Gerardo, l’Annunciazione, la Natività, la Morte, la Resurrezione, lo stemma del Vescovo e quello del papa, Un possente campanile quadrangolare sul lato destro della facciata principale a quattro piani e una base, con cinque ordini di finestre sormontato da una cuspide piramidale.  Il campanile rappresenta uno dei più alti punti della città ed è visibile a grande distanza. Dalla descrizione che ha fatto la guida la Cattedrale presenta una struttura a croce latina, con un’unica navata sovrastata dal soffitto costituito da varie volte a botte lunettata. Un pregevole altare maggiore sopraelevato rispetto alla navata. All’incrocio tra l’unica navata ed il transetto si trova una cupola emisferica affrescata. La statua di San Gerardo si trova nel braccio destro del transetto in una cappella protetta da una cancellata in ferro con le reliquie del santo, il tutto sovrastato dalla statua in legno policrono del santo.  Lasciando la piazza antistante la Cattedrale si passava davanti al Museo archeologico nazionale della Basilicata ed uno del gruppo notava un certo movimento nei pressi dell’ingresso. Questo insospettiva che il Museo fosse regolarmente aperto e pertanto richiamato il gruppo che in parte era già passato, Siamo potuti entrare come da programma iniziale. Il museo è dedicato a Dinu Adamesteanu, archeologo rumeno che fu il primo sopraintendente della Basilicata. Il Museo ha sede nel palazzo che i Loffredo ne diventarono proprietari nel 1604. Sono esposti ritrovamenti  archeologici dell’intera regione della Basalicata e un approfondimento sulla storia del territorio di Potenza. La presentazione segue un ordine cronologico e geografico e si sviluppa su due piani, partendo dagli Enotri con oggetti dell’età del ferro. Una sezione riguarda la colonizzazione greca VII secolo a:C.   Molto interessanti i ritrovamenti lungo i fiumi Agri e Sinni nelle necropoli con tombe a fossa IX e VIII secolo a.C. Ma il Museo ha anche tracce degli Apuli e dei Lucani (V e IV secolo a.C.) e reperti della conquista romana IV secolo a.C. colonia di Venusia     (Venosa).                             Il programma così modificato dalle difficoltà che si erano create, per la festività del Santo Patrono, ci permetteva solo una veloce passeggiata per le principali vie di Potenza, ricevendo dai cittadini di Potenza domande da quale zona venivamo. Alla nostra orgogliosa risposta che venivamo dall’Umbria e in particolare da Spoleto, raccoglievamo apprezzamenti sulla bellezza della nostra regione ed anche per alcuni, il desiderio di effettuare in futuro una visita nella citta del Festival dei Due Mondi. Giunta l’ora del pranzo riprendevamo gli ascensori per arrivare nella zona cittadina sottostante, dove era parcheggiato il Pullman ma dove, soprattutto si trovava  la trattoria “La Tettoia”.

Pomeriggio

Al termine  della pausa prandiale si affrontava il problema di organizzare il pomeriggio, avendo costatato che la città non presentava le condizioni ideali per una visita turistica. Si decideva di rientrare in anticipo ad Altamura e approfittare di visitare la cittadina, che secondo le indicazioni dei Soci, molto positive per le visite fatte nella serata precedente, ne consigliavano la visita. Sbarcati in centro di Altamura con l’indicazione ferrea di ritrovarsi puntualissimi alle 19,30 per ritornare in albergo. Usando la frase ormai entrata nell’uso comune nella nostra organizzazione “chi c’è c’è e chi non c’è (variante) si sarebbe fatta la strada a piedi fino all’albergo”. La distanza non era molto ma vista l’ora immanente della cena, la minaccia è stata sufficiente per far si che fossim tutti puntualissimi. La decisione di questa variante del programma si è dimostrata molto giusta ed ha permesso di godere la visita di una cittadina

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estremamente civile, ordinata e pulita, ma anche piena di aspetti artistici interessantissimi.                                  Altamura è inclusa nel Parco nazionale dell’Alta Murgia, Tra le doline con la località Pulo di Altamura che presenta una cavità di origine carsica, è stato ritrovato nel 1993 l’Uomo di Altamura, resti di scheletro umano integro risalente al Paleolitico. Il suo buono stato di conservazione , specie del cranio, ha permesso di studiare l’evoluzione, la migrazione dell’uomo neanderthaliano nel territorio europeo. Ciò non faceva parte della visita, ma una rivista in albergo accennava a questo importantissimo reperto e agli studi che hanno permesso di fare a seguito del ritrovamento ed ho voluto segnalarlo.                                                                                                   La città di Altamura fu ripopolata dall’imperatore Federico II e per volere dello stesso imperatore, volle che fosse edificata la cattedrale dedicata all’Assunta. Federico la volle come cappella palatina con privilegi di esenzione da qualsiasi giurisdizione che non fosse quella del sovrano . I successivi sovrani confermano questi privilegi fino al 1929, quando, con i patti lateranensi, per la prima volta un papa di Roma ebbe la possibilità di nominare il vescovo della cattedrale. Questa informazione ci è stata data dalla curatrice del Museo Diocesano, che, comprendendo il nostro interesse, ha tenuto a raccontarci ciò ,ed ha tenuto aperto oltre il tempo previsto la mostra, posta al matroneo della Cattedrale.  La visita alla Cattedrale è senza dubbio fra le cose da vedere e ammirare.  Si trova lungo la via del corso principale della città e troneggia nella sua sontuosità. Voluta nel 1232 da Federico II fu terminata in epoca angioina  Nata in stile romanico pugliese, nei secoli con ammodernamenti ha assunto un aspetto barocco. L’esterno della Chiesa di Santa Maria dell’Assunta, ha una facciata notevole con due campanili del XVI secolo. Un rosone a 15 raggi ed un portale bellissimo con scene della vita di Gesù. Due leoni a grandezza naturale sono a guardia dell’ingresso. Nell’architrave è rappresentata l’ultima cena e sopra la Madonna in trono con il bambino e due angeli ai fianchi della lunetta. Sulla fiancata destra che dà sulla omonima Piazza Duomo, una serie di archi e trifore in alto, creano un alleggerimento dell’imponente struttura. Da questo punto della visita, il gruppo si è diviso in piccoli drappelli sia per diversi interessi e sia perché nelle serate precedenti alcuni avevano già visto  il Duomo. Quindi non posso immaginare quanto sia stato visto dagli altri gruppetti che avevano solo come punto di riferimento, l’appuntamento al Pullman delle 19,30’ per tornare in albergo.                                                                          L’interno del Duomo si presenta in perfetto stile barocco molto ricco, con tre navate suddivise da colonne e pilastri, con matronei. I capitelli  di tipo bizantino e le relative  colonne e pilastri rimangono le uniche testimonianze della cattedrale federiciana.  Il ricco soffitto ligneo è decorato con stucchi d’oro. La navata principale finisce con l’imponente altare settecentesco.  Il presbiterio è arricchito da uno sfarzoso coro in legno di noce (1543) .  Ma il tempo correva veloce e non volevamo perder la visita al matroneo, che vista l’ora rischiavamo di non poter visitare. Come accennato in precedenza una gentilissima curatrice del Museo ci concedeva uno extra time e ci permetteva di visitare il tutto. E’ un museo realizzato all’interno della Cattedrale, al quale si accede attraverso l’entrata laterale. Occupa i matronei e le sedi adiacenti. Sono visibili breviari, lettere notarili, reliquie e molte pissidi preziosamente intarsiate e il mantello di Murat. E’ anche conservato un Crocefisso con il Cristo che mediante un ingegnoso congegno apre e chiude la bocca. Dopo i racconti fattici, già detti in precedenza, la responsabile, particolarmente gentile e disponibile, avrebbe continuato a raccontarci altri particolari, ma costatavamo che il tempo ormai era trascorso e ci siamo accomiatati

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velocemente, ringraziando,  per raggiungere  rapidamente il posto di raccolta per rientrare in albergo.  La cena era veramente un gran momento di distensione e di commento di quanto la giornata ci aveva offerto di bellezze e d’imprevisti .  La serata terminava con Ida che ci dava l’appuntamento per il giorno dopo, raccomandandoci, come sempre, la massima puntualità.

Taranto – 4° giorno venerdì 31 maggio 2019

La partenza avveniva , come al solito, con la massima puntualità e con un interesse particolare per una città piena di tante cose belle, compresa la sua posizione che la fa appellare “Città dei due mari”, ma anche con la città nella città dell’Ilva.  Anche questo trasferimento  è avvenuto attraverso zone altamente coltivate e con vedute di paesaggi tanto diversi dalla nostra Umbria. Si attraversa il tavoliere delle puglie, un territorio pianeggiante o debolmente ondulato. E’ la più vasta pianura d’Italia dopo la Pianura Padana ed è geologicamente classificabile come preistorico fondo marino. Viene attribuita a Federico II di Svevia la seguente affermazione “Se il Signore avesse conosciuto questa piana di Puglia , luce dei miei occhi, si sarebbe fermato a vivere qui” La maggior parte del golfo di Taranto non permette porti, ma a Taranto c’è un porto  molto bello e ampio.  Viene nomata “Città dei due mari” perché la città si sviluppa lungo tre penisole naturali ed un’isola, quest’ultima nucleo storico dell’abitato, formatasi  durante la costruzione del fossato del Castello Aragonese, e creando due distinti invasisi Mar Grande  e  Mar Piccolo.  Il Mar Grande  bagna la costa esterna e si congiunge col Mar Piccolo in solo due punti, tramite il canale naturale ( Porta Napoli) e il canale artificiale navigabile che separa lo storico insediamento urbano dalla parte più estesa della città. L’ingresso in città avviene purtroppo attraverso l’insediamento della Ilva che accompagna un lungo tratto della strada di immissione nella città. E’ stato per lungo tempo, ed ancora oggi, una fonte immensa di lavoro per il compartimento di Taranto, ma è stato anche, e le ultime analisi lo confermano, un grande inquinamento per la lavorazione e per le sue scorie. Al momento dell’insediamento, non fu affrontato minimamente quali potessero essere la conseguenza  sanitaria di un insediamento del genere. Era il periodo che la scelta si faceva in base a quanti posti di lavoro venivano assicurati all’indotto. Non era ancora entrata nell’opinione pubblica e nella classe politica la cultura della difesa dell’ambiente e delle persone. Una volta superata la zona Ilva, con impianti di dimensioni gigantesche e con continui sovrappassi per congiungere le due parti dello stabilimento, si giunge finalmente in vista del mare e della città. Il Pullman ci ha lasciato in luogo di sosta che è risultato non troppo vicino al punto dove avremmo dovuto andare. In fila indiana siamo sfilati per le vie cittadine e ponti fino al luogo della prima visita. Palazzo Pantaleo e Museo Majorano. Dopo

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un’attesa piuttosto lunga, ma che ha permesso al gruppo di usufruire dei bagni, si apprendeva che i gruppi di visita che ci avevano preceduto, ci avrebbe causato un ritardo sullo scopo principale che avevamo in mattinata, la visita al Museo Nazionale Archeologico di Taranto. Il Palazzo appartenuto al barone Francesco Maria Pantaleo, è uno dei pochi edifici settecenteschi di Taranto vecchia rimasta intatta, situata nella zona dove c’era l’antico porto ed attualmente ospita il museo etnografico Alfredo Majorana.  Si affaccia sul Mare Grande e fu edificato su uno scoglio naturale. Il Palazzo serviva come punto d’osservazione del barone Pantaleo che da li poteva controllare l’imbarco delle sue merci e le navi in partenza. Ci si rimetteva in marcia e si giungeva al Museom, nostra meta, passando davanti al Castello Aragonese. Non visitato ma visto nella sua possanza dall’esterno. Il primo nucleo risale al 780, quando i bizantini la costruirono a protezione degli attracchi dei Saraceni e della Repubblica di Venezia. Era il tempo in cui si combatteva con lance, frecce, pietre e olio bollente. Nel 1481 fu realizzato un primo canale navigabile, più stretto dell’attuale per consentire il passaggio di piccole imbarcazioni e migliorare la difendibilità del castello. Nel 1486. Ferdinando I di Napoli fece ampliare il castello conferendogli l’attuale struttura, atta all’utilizzo dei cannoni, con torri larghe e basse, di forma circolare per attutire le palle di cannone, con scivoli per permettere lo spostamento dei pezzi da una torre all’altra. La nuova fortificazione comprendeva sette torri, di cui quattro unite tra loro a formare un quadrilatero, e le rimanenti lungo il fossato fino al Mar Piccolo.                                                                                                  Ormai eravamo vicino alla meta e con un ultimo sforzo si giungeva al MARTA,  Museo Nazionale Archeologico di Taranto. Qui bisogna prima di tutto anticipare un giudizio estremamente positivo sulla realizzazione del museo, che solo per questo meriterebbe un viaggio a Taranto. Non voglio soffermarmi sulla storia  del Museo risalenti all’ottocento, per il reperimento di resti della polis greca e romana, a seguito dell’avvio dei lavori dell’arsenale militare. Dovremmo accennare anche al passaggio da semplice deposito in vero e proprio museo, all’inizio del novecento. Seguirono vari ampliamenti, fino al 1998 – 1999 che per ristrutturare tutto il complesso veniva deciso di chiuderlo completamente, creando a Palazzo Pantaleo un percorso espositivo della preistoria e protostoria regionale e della cultura funeraria e religiosa della Taranto greco e romana. Si giunge così nelle progressive riaperture (2007, 2013) degli spazi espositivi che hanno restituito al visitatore il ricco patrimonio archeologico acquisito in oltre un secolo di ricerche sul territorio. Liberati gli spazi da occupazione di tipo amministrativo ed altro fu dato in toto a scopi espositivi. Venivamo accolti dalle

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guide che ci hanno diviso in due gruppi.  Si passava ad ammirare i reperti di età preistorica e protostorica del neolitico all’età del ferro. Fra i tanti reperti merita ricordare una brocca biconica a decorazione geometrica (seconda metà VIII secolo a.C.).Proseguendo si arrivava nelle sale della città greca dalla fondazione alla conquista romana. Anche qui reperti interessanti, segnalo Antefisse a testa di Gorgone (VI-inizi del V sec .a.C.). Un reperto della cultura religiosa, notevole, una figura maschile con corona, distesa che stringe un uovo a simboleggiare la prospettiva di vita anche oltre la tomba ( IV sec a.C.).  Ancora un cratere a calice apulo a figure rosse (400-390 a.C.). Nelle stanze dedicate a Taranto e il mondo          indigeno, la Daunia, la Pucezia e la Messaia, sono esposti ori del VI sec. collana in oro, coppia di cerchi apuli in oro, coppia di fibule in oro. Notevole la statua bronzea di Zeus ( 530 a.C.). Magnifico il reperto di un cratere a volute proto italiota a figure rosse (primi decenni del IV sec. a.C.). Si incontrava nelle sale successive la cultura funeraria. Si nota un cratere attico a figure rosse (500-480 a.C.) Salendo al secondo piano si entra nella sale della cultura funeraria greca. Ci accoglie una Metopa in pietra tenera fine III – inizio del II sec. a. C. l’iconografia sviluppa il tema dello scontro in battaglia fra Greci e barbari. Si rimaneva basiti davanti le vetrine contenenti una serie di realizzazioni in oro che tutt’ora ispirano i gioiellieri moderni nell’ispirarsi nelle loro creazioni di gioielli: Non è possibile indicarli tutti, perché è una è più bella dell’altra, e tutti insieme costituiscono una meraviglia da brividi.  Sempre in oro diadema ,orecchini, bracciali, collane, anelli. Ma uno lo voglio sottolineare per l’originalità e la magnifica fattura orecchino a navicella (IV sec. a. C.) viene definito nella presentazione “Eccezionale per dimensioni e per la complessa decorazione fitomorfa, ottenuta con la tecnica della filigrana, della granulazione e attraverso l’uso di fili godronati e lisci, la navicella è arricchita da pendenti ed elementi intagliati nella lamina aurea, come le Nikai  (figure femminili alate) poste alle due estremità “.Ancora pendenti in oro e cristallo di rocca. Ma ci sono anche  cose che sfuggono alla comprensione degli archeologi  come il ritrovamento in un contesto funerario di uno schiaccianoci in bronzo e oro a forma di avambracci femminili con le mani accostate. Segue la presentazione di terrecotte con la riproduzione di giocolieri e degli attori comici con relative maschere comiche. Poi con la conquista romana di Taranto seguono stanze con  una testa virile in marmo di Eracle che risente dell’iconografia della scultura greca o la testa femminile in marmo ispirata anch’essa alla produzione greca. Del I sec. d.C. un ritratto in marmo di Augusto.       Si passa poi, ai mosaici policromi rinvenuti nell’800 ricco di testimonianze e   rappresentativo dell’edilizia privata di età imperiale (fine II sec. d.C.). il reperto                                                                                                                 

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mostra nel tappeto musivo relativo al triclinio, la sala del banchetto, varie formelle e tre riquadri figurati che si sviluppano intorno  all’emblema centrale con la raffigurazione di un satiro e di una ninfa abbracciati; secondo motivi iconografici diffusi in tutto il bacino del mediterraneo. Seguono reperti di terracotta policrome, sono rimasto colpito da una terracotta policroma che raffigura una giovane donna  intenta a danzare. In cui, l’abilità del ceramista,  lascia intravedere passi e movenze  sinuose al di sotto del leggero chitone. In questo caso la danzatrice si muove sulla punta dei piedi e ha le gambe leggermente incrociate, mentre il chitone, scivolato giù dalla spalla sinistra, lascia in parte scoperto il seno. Seguono ancora mosaici policromi con lacerti musivi relativi alla caccia, con immagini femminili raffiguranti le quattro stagioni. Ancora reperti di gioielli tardo antico ed età bizantina con orecchini in oro e smeraldo, orecchini a globetti in oro, orecchini oro e smeraldo con decorazioni a smalto con dei pendenti troncopiramidali. XI sec d.C.   La scelta dei reperti  che ho qui segnalato, mi sono stati possibili , aiutato in modo determinante dal Catalogo che mi ha permesso di ricordare, avendone  la stessa meraviglia e sorpresa, di quando osservavo nella  visita museale, Ma certo solo dopo averli visti se ne può ammirare la bellezza e la perizia degli artigiani/artisti che li hanno prodotti.                                                                                                     Terminata la visita ci si apprestava a raggiungere il ristorante, ma per facilitare il trasferimento abbiamo atteso il Pullman che ci venisse a prendere per avvicinarci  lungo la riva del Mare Grande, nel sito ove i pescatori espongono l’appena pescato agli acquirenti.  Il Ristorante Paranza ci accoglieva per farci gustare un buon pasto a base di pesce e per recuperareun po’ le forze spese per i per i trasferimenti, nonchè  per la visita museale che ci aveva impegnato lungamente..

Pomeriggio

Terminato il pranzo una robusta camminata ci permetteva di vedere alcune bellezze di Taranto. Il Castello Aragonese del quale ho parlato prima, ma solo dall’esterno e per il racconto della guida .e la Cattedrale di San Cataldo.                                                                                                                   La Cattedrale di San  Cataldo è la più antica cattedrale di Puglia, dedicata al vescovo irlandese , morto a Taranto nel VI – VII secolo del quale ospita il sepolcro. La cattedrale fu voluta dall’imperatore bizantino Nicefaro  II Foca , sui resti di un edificio religioso medievale, poi fu rimaneggiata nel  XI sec costruendo l’attuale cattedrale a pianta basilicale. Nel XII secolo fu innalzato il campanile normanno, distrutto in seguito del terremoto del 1456.  La facciata esterna,  di stile semplice, è decorata da una serie di archetti a

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specchiature, all’interno dei quali conci bicolori che creano figure geometriche. L’attuale facciata settecentesca presenta due  angeli che guardano il rettangolo del finestrone centrale nel quale campeggia la statua in pietra  di san Cataldo.   L’interno ha una navata centrale, due laterali ed un transetto ad  una navata.  Si trovano parecchie cappelle e fra queste il Cappellone di San Cataldo. Costituito da un vestibolo quadrangolare e la cappella di forma ellittica. La tomba del santo è posta all’interno dell’altare in marmo, ed è visibile attraversa una grata marmorea e finestrelle .                                                                       La cappella del Sacramento  posta sul lato sinistro dell’altare (anticamente dedicata a sant’Agnese) con i segni del rifacimento in stile barocco.  La Cattedrale ha sepolti in vari siti, in cripta, nel cappellone di San Cataldo, nel presbiterio e nel pronao otto personaggi per lo più Arcivescovi.                                                                               

La cripta risale alla fase bizantina con impianto cruciforme. Divisa in due navate, con colonne basse, volte a crociera a sesto rialzato. Sulle pareti frammenti di affreschi del duecento e del trecento. Significativo il trittico raffigurante  San Cataldo, Santa Maria Maddalena e Santa Maria Egiziaca, dove si notano sovrapposizione di immagini risalenti ad epoche diverse.                                                                                          La visita è stata fatta in maniera fugace e dopo una passeggiata in città con la visione della Taranto moderna, ci si imbarcava per il rientro a Altamura e all’albergo per la cena. Certo le contradizioni che si hanno nella visita a Taranto sono diverse e contrastanti. Non scendo in valutazioni socio/politiche, mi baso solo sulle sensazioni di turista ignorando la storia della città. L’insediamento Ilva ne deforma l’aspetto della città turistica dandogli quello di città industriale vecchio stile, poi l’ariosa città con i due mari dando un respiro ed un’immagine di tipica città marinara.  E poi  il magnifico Museo che ne fa un centro culturale fra i più importanti. Nelle sale dei vari reparti vengono illustrati particolari nascosti che il più delle volte sfuggono anche allo sguardo del visitatore più attento, e accompagnano il visitatore attraverso gli oggetti dell’esposizione.  Reperti famosi o inediti , sempre di altissimo livello artistico. Gli oggetti seguono il filo del tempo e documentano le diverse forme espressive degli antichi abitanti del territorio, nell’organizzazione dello spazio insediativo, nella vita e nelle attività quotidiane ,nelle forme dell’architettura domestica, religiosa, funeraria, nelle manifestazioni del sacro, nelle pratiche funerarie, nel settore economico e produttivo, nei rapporti con genti di cultura diversa, senza soluzione di continuità, dal VI millennio prima di Cristo all’epoca medievale. In breve si è presenti ad una vera raccolta di reperti di immenso valore storico e artistico sufficiente per intraprendere appositamente un viaggio a Taranto.   Il rientro avveniva in perfetto orario con la consapevolezza che la visita culturale di fine Anno Accademico stava volgendo al termine e che l’indomani avremmo dovuto lasciare l’albergo per affrontare l’ultima visita ad Alberobello e quindi di rientrare a Spoleto.                                                                                                                     Dopo cena, come ormai d’abitudine Ida ci dava i tempi di raduno per i giorno dopo con l’ulteriore avvertenza di preparare i bagagli e lasciarli fuori della porta  della

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camera al fine di permettere al personale di portarli nella hall per essere imbarcati sul Pullman in ordine inverso rispetto alla discesa dei proprietari a Spoleto.

Alberobello – Spoleto  5° giorni sabato 1 giugno 2019         

La colazione ,dopo aver assolto il compito di preparare i bagagli, come da avviso datici ieri sera a cena, avveniva con la consapevolezza che ormai si era giunti all’epilogo del Tour, e quindi con meno vivacità del solito. Caricati i bagagli si partiva alla volta di Alberobello, che si raggiungeva rapidamente vista la modeste distanza fra Altamura e Alberobello. Trovato il posteggio del Pullman, con una passeggiatina di media lunghezza, si arrivava con la guida al centro città. Solo nei primi anni del XVI secolo su impulso del conte di Conversano Andrea Matteo III  Acquaviva d’Aragona , figlio di Giulio Antonio Acquaviva caduto nella battaglia di Otranto contro gli ottomani, si aveva un primo insediamenti locale. Andrea Matteo introdusse una quarantina di famiglie di contadini per bonificare e coltivare le terre, con l’obbligo di consegnargli la decima dei raccolti. Un suo successore, il potente conte Giangirolamo (detto il Guercio per un occhio bendato) nel 1635 avviò una urbanizzazione con la costruzione di piccole case. L’abbondanza di pietra calcarea e l’autorizzazione del conte a costruire case solo con muri a secco, senza l’uso di malta, diedero l’avvio ai caratteristici trulli. L’obbligo di far costruire case solo con pietre a secco fu un espediente del conte per evitare il pagamento dei tributi al vicerè spagnolo del Regno di Napoli secondo la Pragmatica de Baronibus, legge in vigore fino al settecento, secondo la quale, la costruzione di un nuovo centro abitato comportava, in primo luogo, il Regio assenso e in secondo luogo il pagamento dei tributi da parte del barone alla Regia Corte. Alberobello rimase feudo degli  Acquaviva d’Aragona di Conversano fino al 1797, quando il re Ferdinando IV di Borbone che era ospite a Taranto, accolse l’istanza di una delegazione ed emanò un decreto con il quale elevava il piccolo villaggio a città regia, svincolandola dalla servitù feudale dei conti, fu eletto il primo sindaco e nel 1814, negli stessi anni, Francesco D’Amore, costruì il primo trullo a due piani, conosciuto oggi come Casa D’Amore. Alberobello è l’unico centro abitato nel quale esiste un intero quartiere di trulli. Prima di avviarci alla visita del quartiere di trulli, ci siamo disposti per la visita al Trullo Sovrano, così nomato perché il più grande, situato in piazza Sacramento è alto 14 metri. Acquisito dalla famiglia Sumerano nel 1861, dal 1994 , dopo i restauri, è stato adibito a museo. La visita è stata fatta con notevole difficoltà a causa del numero di turisti che affollavano il trullo. Dopo un po’ di attesa si è riusciti ad entrare ed abbiamo potuto vedere la sistemazione di una casa arredata, con le attrezzature originali per lavori casalinghi e di artigianato. Un bel giardino sul retro del trullo dava un senso di pace e di freschezza. Naturalmente solo nel nostro immaginario perché l’affluenza era tale che sembrava di essere in un “suk” arabo per la confusione e

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

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l’intreccio delle persone. Ma la fantasia aiuta anche in questi momenti a superare le difficoltà. Il Trullo Sovrano è composto da dodici coni accorpati, il piano sopraelevato è alto 14 metri. La scala interna è realizzata in muratura, la volta a padiglione sorretta dagli archi , l’architrave dell’ingresso principale presenta un dipinto raffigurante Maria al Calvario. Nel 1700 fu luogo di culto ed ospitò la passeggiatina di media lunghezza, si arrivava con la guida al centro città. Solo nei primi anni del XVI secolo su impulso del conte di Conversano Andrea Matteo III  Acquaviva d’Aragona , figlio di Giulio Antonio Acquaviva caduto nella battaglia di Otranto contro gli ottomani, si aveva un primo insediamenti locale. Andrea Matteo introdusse una quarantina di famiglie di contadini per bonificare e coltivare le terre, con l’obbligo di consegnargli la decima dei raccolti. Un suo successore, il potente conte Giangirolamo (detto il Guercio per un occhio bendato) nel 1635 avviò una urbanizzazione con la costruzione di piccole case. L’abbondanza di pietra calcarea e l’autorizzazione del conte a costruire case solo con muri a secco, senza l’uso di malta, diedero l’avvio ai caratteristici trulli. L’obbligo di far costruire case solo con pietre a secco fu un espediente del conte per evitare il pagamento dei tributi al vicerè spagnolo del Regno di Napoli secondo la Pragmatica de Baronibus, legge in vigore fino al settecento, secondo la quale, la costruzione di un nuovo centro abitato comportava, in primo luogo, il Regio assenso e in secondo luogo il pagamento dei tributi da parte del barone alla Regia Corte. Alberobello rimase feudo degli  Acquaviva d’Aragona di Conversano fino al 1797, quando il re Ferdinando IV di Borbone che era ospite a Taranto, accolse l’istanza di una delegazione ed emanò un decreto con il quale elevava il piccolo villaggio a città regia, svincolandola dalla servitù feudale dei conti, fu eletto il primo sindaco e nel 1814, negli stessi anni, Francesco D’Amore, costruì il primo trullo a due piani, conosciuto oggi come Casa D’Amore. Alberobello è l’unico centro abitato nel quale esiste un intero quartiere di trulli. Prima di avviarci alla visita del quartiere di trulli, ci siamo disposti per la visita al Trullo Sovrano, così nomato perché il più grande, situato in piazza Sacramento è alto 14 metri. Acquisito dalla famiglia Sumerano nel 1861, dal 1994 , dopo i restauri, è stato adibito a museo. La visita è stata fatta con notevole difficoltà reliquia del cranio di San Cosma e il braccio di San Damiano. Poi nel 1823 vi trovò sede la confraternita del SS.mo Sacramento. La sala è la stanza principale con volta a padiglione, segue la sala da pranzo e entrambe rappresentano il nucleo risalente al 1600, intorno ai quali è stato poi edificato tutto il resto. Quindi la cucina secondaria, alla quale si accede anche dall’esterno Il giardino, l’elemento di fascino ma anche sua piccola oasi. La cucina padronale con camino dall’elegante profilo. La scala che è poi l’elemento di unicità del Trullo Sovrano perché nessun altro trullo ha un piano sopraelevato. Il primo piano utilizzato come stanza da letto per gli ospiti veniva impiegata come luogo destinato alla tessitura. La piccola stanza con la finestra era destinato ai bimbi quando la mamma era impegnata al telaio. Tra le due stanze vi      è una botola, visibile attraverso la grata in ferro, che consente l’accesso ad un deposito di grano molto capace , ricavato nello spazio interposto tra la volta dell’ingresso del

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piano terreno e il pavimento del primo. Chi aveva grano aveva pane e chi aveva pane poteva vivere. La camera da letto ha uno spioncino che colpisce per l’insolita posizione della camera da letto. In dialetto chiamata saittèr (saettiera) e serviva non solo per riconoscere chi ci fosse alla porta, ma anche, in casi estremi, per saettare (fulminare con una fucilata) i malintenzionati. Lo spioncino era l’unica via di comunicazione con l’esterno, in quanto la finestra della camera era murata ( venne aperta solo ai primi del novecento) e si chiudeva dall’interno con apposito cuneo in legno. Alle spalle del Trullo Sovrano sorge la Basilica Santuario dei Santi Cosmo e Damiano, di stile neoclassico. La facciata presenta lunghe lesene con capitelli a semplici cimase intagliate. Dal piano superiore partono i due campanili. Una ampia scalinata invita al pronao, una porta di bronzo immette nella basilica. L’altare maggiore è realizzato in porfirico bruno rosso, nel paliotto anteriore vi è rappresentata la Morte, la Resurrezione ( fra i trulli) e l’Ascensione. Finita  la visita  ci si riuniva in piazza per decidere sul da fare. La sosta per era consigliata dal fatto che la giornata iniziata quasi con il pericolo di pioggia, si è tramutata in giornata assolata e calda. Personalmente avevo lasciato il berretto per ripararmi dal sole e nel tentativo di ripararmi avevo coperto il capo con un fazzoletto al quale ai quattro angoli avevo fatto dei nodi per salvaguardarmi la cervice. Risultato mi sono scottato ugualmente e per i successivi 10 giorni mi sono spellato la testa come se avessi preso il sole a cranio scoperto. Questo per indicare che un gruppo nutrito di Soci ha deciso di non seguire il gruppo che avrebbe visitato il rione Monti dei trulli. Ci si è dati l’appuntamento entro il quale i vari gruppi si sarebbero ritrovati per poi andare insieme a pranzare. Personalmente facevo parte del gruppo che aveva deciso la visita al rione dei trulli. Ci si incamminava in salita e, mano a mano che si saliva e ci si addentrava nel rione, si era colpiti dalla tipicità di queste abitazioni. Alcune molto ben circondate da giardino. La strada intrapresa era laterale alla via principale alla quale siamo giunti nell’ultima fase dell’ascesa Eravamo ormai vicini alla Chiesa dedicata a Sant’Antonio di Padova. Eretta nel 1926/1927 alla sommità del rione Monti. La singolarità dell’edificio che presenta una pianta a croce greca è nella riproduzione delle fattezze dei trulli che la circondano. Il tetto conico tipico dei trulli si ritrova anche nella cupola, alta 21 metri e nel campanile. La discesa verso il luogo dove avremmo ritrovato il resto dei Soci, veniva fatto per la strada principale del rione. Strada larga e con ai lati un susseguirsi di botteghe che mettevano in mostra tutte le loro merci. Negozietti di ricordi, di lavori artigianali di varia natura e di locali nei quali venivano offerti in assaggio prodotti locali. La nostra guida sapeva esattamente dove indugiare e proporre soste per assaggi (e soprattutto acquisti) ma che avevano il notevole pregio d’avere affacci panoramici sul Rione, con vista su un mare di trulli. Piacevole e accattivante il contatto  con i proprietari che non erano aggressivi nella presentazione dei loro prodotti, ma anzi si presentavano piacevolmente con cordialità e simpatia. Intanto il sole picchiava senza tregua dimostrando quanto fosse utile e funzionale il colore bianco predominante in tutti i trulli. Terminato il corso principali ci ritrovavamo nella piazza dove puntuali, come

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noi, abbiamo trovato il resto della comitiva per recarci al ristorante “His Majesty”. Il pranzo veniva allietato da una serie di mozzarelline che facevano rinascere le energie che, sinceramente, erano state spese in gran numero. Lasciavamo Alberobello con un doppio velo di mestizia, per lasciare una cittadina in cui c’era ancora molto da vedere ma soprattutto perché si era giunti al termine del nostro Tour; il primo senza la nostra Direttrice, che tanto l’aveva voluto e al quale aveva dovuto rinunciare. A fine viaggio devo dire che la decisione presa dalla Direttrice è stata più che opportuna per alcune situazioni di deambulazione non certo ideali per chi aveva problemi alle ginocchia.                                                                                                 Il rientro avveniva senza problemi con le previste soste che permettevano le rituali funzioni corporali e anche per provvedere ad una frugale cena. Arrivo a Spoleto alla prima fermata alle 19,30’ circa.

Grazie a tutti e arrivederci al prossimo Anno Accademico 2019/2020  37°esimo della nostra Università.

. Viva l’UNITRE Spoleto

 

 

 

 

 

 

                

 

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